Guardo fuori dalla finestra. I colori che si stanno dipingendo sui muri delle case stillano da un cielo che si scioglie man mano che le lancette corrono avanti consumando ciò che rimane di un pomeriggio che preferirei dimenticare. Adesso. Ma è troppo presto, i sentimenti anche in forma negativa vanno osservati per un po' di tempo, guardati con le diverse lenti messe a disposizione da un inquietante vecchio, un ottico astratto, che ogni tanto fa capolino tra i vetri rigati dalla pioggia. Apro l'armadietto che contiene le suddette, le passo una ad una, sento quello che mi comunicano e con calma assaporo l'eco sentimentale che mi donano. Poi trovo quella giusta. E' grigia, opaca, annerita, ma dai contorni luminescenti. Sopra c'è inciso un nome, Wolves In The Throne Room, sotto un titolo, Celestial Lineage. Appoggio l'occhio per vedere.
Il primo paesaggio che si palesa è un'eco eterna che si arrampica dai boschi con artigli ferini, "Thuja Magus Imperium" è una foto vecchia di cent'anni, non ha colori, solo impressioni, le campane richiamano dei piccoli campanelli e un synth si adagia nell'aria per sospingere tra gli alberi la voce di Jessika Kenney (sodale di Eyvind Kang ,già presente su Two Hunters), che tratteggia passi eterei che vengono ripresi dalla chitarra poco dopo, come due voci lontane che non potendo toccarsi si imitan l'un l'altra, fino all'arrivo del fuoco, l'entrata strabordante della macchina blackmetal che strappa l'immagine in mille pezzi, è un crescendo di pura disperazione, se la ritmica è serratissima la chitarra disegna melodi(epi)ci voli icariani fino ad aprirsi in un mare postrock, intesità diluite in lunghe note malinconiche.
"Subterranean Initiation" è una locomotiva incrostata dalla ruggine lanciata a sferragliare tra blastbeats feroci e chitarre algide, la voce è memore dell'odio primevo del genere, le aperture sublimi su sintetizzatori che avvolgono nel freddo, la (doppia)cassa è continua e incessante anche mentre il resto smorza i toni, fino alla decompisizione del ritmo in segmenti noise, chitarra in feedback, elettroniche inquietanti e un groove spezzato divorano le orecchie e creano un ponte verso un finale magniloquente, la sei corde imbottita di chorus si staglia in un cielo sonoro carico di sventura. Gli acidi contrappunti in feedback e percussioni che reggono i cori da messa spettrale di "Woodland Cathedral" attanagliano i nervi e innalzano ancor di più la carica emotiva, è una processione lentissima che si fa spazio nella testa, folk mostruoso che ipnotizza. Dal cielo piovono stelle malate e gocciolanti di sangue freddo, "Astral Blood" mesce andirivieni di dinamica, mid tempos sostenuti e un fantastico intermezzo di folk antico e perduto nella memoria.
La lente s'incrina, una crepa passa da parte a parte e mi rimane in mano. Guardo di nuovo fuori dalla finestra. Non c'è più luce. Le lancette hanno smesso di muoversi e fa ancora più freddo nella stanza, sintomo che ciò che ho appena visto ha fatto il giusto effetto.
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