Il fatto che l’atteso ultimo album dei WITTR sarebbe stato un lavoro strumentale, volto a sviluppare linee melodiche presenti nell’ultimo vero e proprio full-lenght “Celestial Lineage”, mi aveva suscitato più di una perplessità. Considerate poi quelle voci (successivamente smentite – menomale) di un possibile scioglimento della band, non era fuori dal mondo precipitare alla conclusione: non è che i Lupi sono a corto di idee?
Non voglio fare l’esagerato, ma sono del parere che oggi i WITTR siano in ambito black-metal la band più importante. Se oggi il genere è tornato in auge, dopo anni in cui non se ne parlava più, è soprattutto perché i WITTR hanno iniziato a fare musica: la trilogia “Two Hunters”-“Black Cascade”-“Celestial Lineage” sta lì a dimostrarlo. Potevamo quindi accontentarci di una semplice appendice del lavoro precedente?
Il fatto puro e semplice è che “Celestite” è un album bellissimo. Dimenticate l’ambient del Conte o le goffaggini di qualsiasi altro black-metallaro prestato, con piglio dilettantesco, al mondo dei sintetizzatori. L’approccio dei fratelli Weaver si avvicina, per intensità e trame sonore, piuttosto alla kosmische musik di Tangerine Dream, Klaus Schulze e Popol Vuh (per altro da sempre citati come fonte di ispirazione per la band), toccando vette di “sacralità” impensabili per dei musicisti dal background metal (mamma mia quegli organi vibranti proiettati nello spazio profondo; quel pulsare destabilizzante di un universo sull’orlo del collasso; quei varchi improvvisi che si aprono su altre dimensioni). Senza comunque rinunciare all’intervento delle chitarre elettriche, con esiti non lontani da quanto combinato da Sunn O))) e Ulver nel recente “Terrestrials”.
In bilico fra musica cosmica e drone-music, con qualche suggestione floydiana disseminata qua e là, “Celestite” si compone di cinque lunghi brani dal fascino innegabilmente cinematografico: un lento evolversi di ambientazioni che si danno il cambio in modo fluido, passando da fasi di estatica contemplazione a momenti più tesi. Il dramma di forze immani che si scontrano nel quadro di un’armonia superiore è quello che ci vogliono descrivere i da sempre eco friendly WITTR.
Nel trascorrere di questi quarantasette minuti si condensano ere geologiche intere, spazio e tempo si annullano nella maestosità della danza del Cosmo, nel vorticare imponente di immense nebulose, nel disintegrarsi di corpi celesti, nello sprigionarsi di energie ignote ed incommensurabili: un sound pretenzioso che tende all’Universale e che richiama continuamente l’arte visionaria di un Malick perso nelle voragini cosmiche del suo “The Tree of Life”. Ha un qualcosa di inquietante questa musica, ed è l’inquietudine che si prova innanzi a dinamiche assolutamente “Altre”, totalmente estranee all’Uomo (l’intenzione del duo era proprio quello di minimizzare il più possibile l’elemento umano della loro musica).
Coadiuvati da Timm Mason (sintetizzatori) e soprattutto dalla mano sapiente del produttore Randall Dunn (Sunn O))), Earth), Aaron e Nathan, a loro volta armati di chitarre e sintetizzatori, edificano imponenti soundscapes, ove a dominare è l’impiego di un’elettronica analogica e dal sapore squisitamente vintage (spingendosi sino a quel liquido territorio di confine dove la musica cosmica manteneva ancora qualche punto di contatto con il rock progressivo). Di contorno troviamo i fiati di Steve Moore e Josiah Boothby (ed è proprio laddove intervengono costoro che viene in mente la premiata ditta Sunn O)))/Ulver) e i flauti sinuosi di Mara Winter e Veronica Dye, al servizio di una materia sonora densa, sostanziosa, fatta della furia degli elementi.
Da questo impressionante succedersi di visioni catastrofiche ed al tempo stesso meravigliose (una lotta furibonda che prescinde in verità da concetti quali Vita e Morte, elevandosi piuttosto ad uno status di perenne Trasformazione), affiorano, senza occupare l’intera scena, diversi temi di “Celestial Lineage”, i quali si ritagliano momenti di notevole intensità, andando a richiamare l’opera madre nei suoi momenti più coinvolgenti.
L’impressione, infine, è che, sebbene spogliata delle grida disumane e del riffing al vetriolo di Aaron, dell’ispirato drumming di Nathan, la musica del combo americano sia animata dal medesimo spirito di sempre. Certo, non si parla più il linguaggio feroce del black-metal, ma nonostante questo, “Celestite” suona Wolves in the Throne Room al 100%: ad emergere è quella componente sottocutanea che prima percorreva febbrile l’arte della band attraverso canali sotterranei, serpeggiando al di sotto della dura scorza metal, e che adesso si dischiude in tutto il suo titanico splendore. In “Celestite” i WITTR sembrano voler recidere definitivamente le loro radici terrene, per smaterializzarsi come pulviscolo nell’immensità del Cosmo, quali silenti testimoni di accadimenti inenarrabili.
Immensi.
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