Forse i momenti più suggestivi del Black Metal sono quelli in cui, superati i primi secondi di ripulsa istintiva per delle sonorità che in modo così ostentato ti sparano in faccia una trance selvaggia e folle, ci si abbandona a dei movimenti che giungono a sublimare la furia stessa da cui all'inizio si è stati investiti. Anzi, ci si accorge che quella furia è la chiave necessaria per lo spalancarsi di un sublime altrimenti inaccessibile. Una specie di "iniziazione esoterica", insomma.
Questo i "Wolves in the Throne Room" lo hanno certamente intuito, come traspare dal loro album "Two Hunters".
Forti del loro immaginario ambientalista, in quest'opera hanno cantato la devastazione della Madre Terra e lo slancio tormentoso verso una sua purificazione e rinascita.
Ed è proprio su una terra desolata che l'album si apre, una visione di cui solo la memoria dolorosa può ricordarne l'antica floridezza ( il titolo del brano è "Dea Artio", a quanto pare una dea celtica della caccia e dell'abbondanza ).
Terminata l'introduzione, l'album fa sfoggio di sonorità Black Metal vecchia maniera, le quali traggono la loro linfa non già ( o meglio non tanto ) da un odio autodistruttivo, ma da una bellezza delicata e benigna, che permea in fondo quasi ogni nota di quest'opera per affiorare esplicita in forma femminile in "Cleansing" e nell'aerea nenia che chiude l'album.
Persino nella violenza della cavalcata perfetta "Vastness and Sorrow", cos'è che si esprime, se non l'angoscia che si prova davanti alla catastrofe inesorabile che si avventa contro ciò che più si ama?
Per far risorgere l'antica bellezza perduta è necessario attraversare il buio dell'orrore e infine della morte: questo è ciò che i Wolves in the Throne Room hanno suonato in un modo che può non brillare per originalità, ma che di sicuro rappresenta uno dei punti più alti e maturi del Black Metal.
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