E quella corsa in moto, alla fine del film, con il vento che ti taglia la faccia e che ripulisce scorie d'inganni, la felicità nel buttarsi in un abbraccio fetale con la prospettiva di una salvazione da esser coinvolti in situazioni un po' complicate, tipo essere killer per caso o scontrare la propria ecletticità con la carne, sperando di conquistare evanescenza.
Tutto poi parte dalla noia, per far passare il tempo, per scordarsi il "cosa cazzo ci sto a fare qui", temporeggiare lo scopo del gioco. La spersonalizzazione è affrontata d'istinto, ci si incrocia, ci si riconosce, si rimanda il contatto animico schiavi ancora dell'alienazione.
La curiosità è inconsapevolezza che fa i suoi danni materiali, inevitabili nella crescita, aspettando "rotture" trascendentali che trasformino coscientemente la sete invisibile.
Meraviglioso è il movimento della camera che si muove oniricamente negli incubi metropolitani e immortala eterni momenti di solitudine. I dialoghi intimi, telegrafati, fanno contralto con le cruenti vicissitudini stradaiole. Gli inseguimenti della caccia all'uomo si affiancano alla spietatezza di uno scandaglio intimo di "muta" intesa verso se stessi: "Ieri papà è morto..."
Chi semo? Che famo? 'Ndo annamo?
Borgata alla mandorla acida... Ma non importa, in questo momento "siamo felici..."
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