"California dreamin, California dreamin, On such a winters day..."

Rimane nella testa la canzone dei Mamas and The Papas, ad accompagnare le giornate di una bella ragazza giapponese, che agita le braccia filiformi con la testa sempre altrove. La ascolta di continuo dice, per 'avere i pensieri fuori dalla testa'. In un quartiere di Honk Kong la California rappresenta l'irraggiungibile opposto del quale si è sempre alla ricerca, proprio come nelle storie d'amore che vengono raccontate.

Questo piccolo grande capolavoro del regista Wong Kar-Wai propone due storia d'amore irrisolte, tra personaggi al limite, nel quale un apparente innamorato segue un apparente disinteressato, senza alcun lieto fine, e senza alcuna tragedia. Come in altri film orientali (Ferro 3), anche in questo film, i personaggi galleggiano sulla realtà comportandosi spesso in maniera oggettivamente irrazionale. Un giovane poliziotto preso dalla morsa della solitudine cerca conforto in una 'dark lady' che nelle sequenze iniziali del film viene mostrata alle prese con ogni genere di traffico e malaffare. Una ragazza stralunata e senza progetti si invaghisce (quasi perchè 'non aveva niente da fare') di un altro poliziotto, anch'egli solo, ma abituato alla sua solitudine, e a dialogare con gli oggetti della casa come fossero suoi amici. Le storie non mostrano molto di più, eppure, questo non è certo il solito film minimalista orientale...

Il regista Wong Kar-Wai riesce a catturare e ad emozionare come pochi altri, e lo fa reinventando le dinamiche della storia inquadratura dopo inquadratura, senza ripetersi, senza mai cadere nella banalità e allo stesso tempo senza carrelli e movimenti di macchina gratuiti. Questo è un dei pochissimi film, in cui il rapporto tra le inquadrature e il loro montaggio riescono a suscitare reazioni estranee alla semplice storia narrata. Moltissime scelte estetiche mi hanno riportato in mente i film della nouvelle vague. Controcampi asimmetrici, giochi con infinite inquadrature in spazi di pochi metri quadri, scene in cui il personaggio viene mostrato in lontananza da più punti, come se la telecamere volesse sbirciare furtivamente la vita del protagonista e al tempo stesso evidenziare la presenza dell'obiettivo con inquadrature poco in uso nel cinema contemporaneo eppure non gratuitamente 'rivoluzionarie'. Anche se molte scene sono girate con la telecamera in spalla non si deriva mai verso il banale videoclip, così come il montaggio non è mai inutilmente serrato e tecnicamente esasperato (siamo ben lontani dallo stile di Old Boy insomma). E' un film con un piede nel cinema moderno orientale (personaggi surreali - situazioni inspiegabilmente al limite) e un piede nel grande cinema francese del '900. L'america è quasi assente, se non per la canzone di Mamas and The Papas.

Da notare inoltre, una fotografia certamente non all'altezza. Il basso costo del film si evidenzia sopratutto su questo aspetto, che forse involontariamente, rende ulteriormente retrò l'atmosferma della narrazione.

Al termine avevo voglia di rivederlo subito, soltanto per apprezzare di nuovo le inquadrature, e questo non mi accadeva da tanto tanto tanto tempo. Imperdibile per chi ama il cinema d'autore orientale (...e/o europeo...).

 

Carico i commenti...  con calma