C'è una significativa e affascinante costante in molte opere di Allen: la figura femminile. Woody ama le donne, adora il loro essere sempre in bilico tra la logica e l'irrazionalità, il cuore e la ragione; nei suoi film a volte sono fragili, intellettuali, simpatiche o odiose, ma il loro è un universo bellissimo e il regista, con quel suo occhio quasi mai distaccato e realmente obiettivo, dipinge spesso ritratti indimenticabili dell'altro sesso.
Nel '88 Woody realizza il terzo capitolo di quella che per molta critica è la trilogia bergmaniana ("Interiors" '78 e "September" '87 le altre opere). "Un'Altra Donna" è il complesso quadro di una donna che ha ormai passato i cinquant'anni e che si ritrova a fare i conti con quello che ha costruito e lasciato dietro fino a quel momento nella sua vita. Il giudizio di Allen è inizialmente duro. La protagonista, preside della facoltà di filosofia, non si è mai realizzata nei rapporti affettivi; è convinta che tutte le persone a cui vuole bene la giudichino in modo positivo, il fratello, l'amica, il marito (Ian Holm). In realtà ha una visione egocentrica dei rapporti, non è riuscita in anni ha costruire delle reali basi affettive su cui poi fare leva nei momenti di reale bisogno. Si ritrova spiazzata e sola; origliando le sedute psicanalitiche di una donna incinta (Mia Farrow) riesce a comprendere che il suo reale bisogno è solo quello di una rinascita che le possa garantire un ritorno alla serenità.
Gena Rowlands è diretta da Allen in modo praticamente perfetto. Woody tiene costantemente le redini della sua Marion, non può l'attrice uscire dai binari che il regista le ha segnato, tutta la recitazione deve essere pulita e priva di qualsiasi istrionismo. "Un'Altra Donna" è un film positivo, particolare non trascurabile è il nome del personaggio interpretato dalla Farrow: Hope (speranza). Allen completa l'ipotetica trilogia bergmaniana con una pellicola priva di sbavature, pulita e intensa. Firma di fatto l'ennesimo capolavoro della sua carriera dimostrando ancora una volta la sua notevole capacità di raccontare l'universo che lo circonda, assorbirne le storie e riportarle al grande pubblico di una sala cinematografica
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