Si torna a Manhattan, finalmente. Dopo alcune trasferte non molto felici del celebre e controverso regista statunitense, Woody Allen torna a respirare aria di casa, andando ad ultimare una sceneggiatura che aveva già iniziato negli anni '70, bloccata, però, dalla scomparsa di Zero Mostel (1915-1977), l'attore allora designato da Allen per il ruolo di protagonista.

Solo a vedere la locandina, però, si capisce di trovarsi di fronte ad un lavoro diverso da quello che l'Allen di fine anni '70 poteva concepire. Essa, infatti, è vivacemente colorata con tonalità pastello, con tanto di panchina, protagonisti e Manhattan sullo sfondo che ai più ricorderanno i lavori intoccabili del regista (si parla della versione europea della locandina). Certo, possiamo parlare di evoluzione artistica, semplicemente di fruibilità (sono sicuro che molti avrebbero evitato il film, se in bianco e nero) e tirare in ballo tanti altri motivi, ma possiamo essere altrettanto sicuri che lo stesso regista, alla fine degli anni '70, avrebbe reso la sua amata città in bianco e nero, come lui stesso amava definirla.

Soprassedendo a queste prime considerazioni, ammetto di essere andato al cinema storcendo il naso prima di aver visto qualsiasi cosa (da qui il discorso della locandina, elaborato mentre aspettavo che si liberasse la sala 3), ma ammetto anche di essere rimasto piacevolmente sorpreso alla fine della proiezione.

"Basta che funzioni" è una commedia che riprende i fili del Woody Allen più ispirato, i cui tratti caratteriali sono estremizzati e riversati nel carattere di Boris Yelnikoff (ottima interpretazione di Larry David), proponendo così un elemento cinico e, apparentemente, superiore alla società in contrasto con quest'ultima, nella quale si rivedono quei personaggi simbolo di un'epoca fatta di apparenze e contraddizioni, ansia e timore di convenzioni e credenze accettate quasi sempre in virtù dell'integrazione sociale.

Il protagonista, il già citato Boris Yelnikoff, è un pensatore cinico e solitario, cronicamente depresso e convintamente superiore a qualsiasi altro "vermetto" della società; dopo il divorzio dalla ricca moglie che manteneva il "Nobel mancato" (egli è infatti specializzato in meccanica quantistica e ripete vanitosamente la sua mancata candidatura al Nobel), si trasferisce in un appartamento fatiscente e degradato, mantenendosi dando lezioni di scacchi a bambini trattati sempre in malo modo (anche arrivando a tirare i pezzi della scacchiera in segno di disapprovazione), ma la sua vita cambia radicalmente quando conosce Melody (Evan Rachel Wood), ragazzina non particolarmente sveglia che riesce ad entrare in casa del protagonista da barbona in cerca di cibo, iniziando ad adottare la sua filosofia di vita e ad amarlo, nonostante l'iniziale reticenza del burbero Boris. Con l'arrivo della madre (un po' forzato, a dire il vero), iniziano a smuoversi tanti meccanismi sociali e psicologici e si genera una condizione di instabilità che si risolve nel cambiamento della madre di Melody da sottomessa donna ignorante ad artista freak e sessualmente libertina, mentre la figlia deciderà di lasciare Boris per un giovane aitante decisamente più vicino alle sue esigenze del vecchio genio cinico. Boris tenterà il suicidio (per la seconda volta, la prima era avvenuta durante la sua precedente esperienza amorosa) e succederà che...

Forse ho svelato un po' troppo della trama, lo ammetto, ma solo così avrei potuto analizzare in modo compiuto il film. 

Se il messaggio che viene lanciato è estremamente drammatico (l'uomo vive tutto in modo che debba andare, per vanità sociale e per compiacimento, quindi "basta che funzioni"), è bene non lasciarsi traviare dal lieto fine che sembra aver risolto ogni situazione. In realtà, come lo stesso protagonista specifica, nel suo ultimo monologo (ce ne saranno diversi, durante il film, direttamente rivolti al pubblico in sala), chiunque, genio o stupido che sia, non riesce ad evitare il "basta che funzioni", per quanto si possa essere coerenti. Come dire, per citare un grande della musica: "nella lotta tra te ed il mondo, stai dalla parte del mondo".

L'apparente lieto fine, il ritorno ad un film sensato, le buone interpretazioni e la comicità spesso aforistica, rapida ed efficace, mi hanno lasciato piacevolmente soddisfatto. Peccato per alcuni aspetti criticabili del film che non lo lasciano gustare in toto: nella seconda parte del film, ad esempio, c'è un calo di ritmo notevole ed alcune situazioni stantie che appesantiscono la visione, oltre all'inserimento di aspetti o caratteri superflui per il film (ad esempio l'entrata in scena del padre sessualmente confuso, rincara l'aspetto di uomo come costretto dalla società in cui vive, ma se non ci fosse stato forse il film ne avrebbe giovato); inoltre, l'apparente finalismo a cui si abbandona anche il cinico Boris (il personaggio scade un po' in questo punto), se da un lato rappresenta la sconfitta dell'uomo al "basta che funzioni", dall'altra suona davvero da lieto fine di commedia di serie b.

In ogni caso, "Basta che funzioni" è un film più che discreto; se da un lato si avverte la mancanza della freschezza del Woody Allen dei tempi d'oro, dall'altra il film è scorrevole, con dei contenuti finalmente all'altezza ed un umorismo in grado di far ridere chiunque.

3,5 da arrotondare a 4 se non siete degli "alleniani" esigenti, in quest'ultimo caso si può arrivare a 3. 

Carico i commenti...  con calma