1978. Primo film drammatico di Allen, e primo film in cui non appare come attore, "Interiors" è stato avvicinato ai bergmaniani "Sussurri e grida", "Persona", "Immagine allo specchio".

Una famiglia, appartenente all'aristocrazia intellettuale ed economica newyorkese, è turbata dalla profonda depressione della madre, Eve (Geraldine Page), abbandonata in età più che matura dal marito, Arthur (E.G. Marhsall). In suo aiuto accorrono le tre sorelle, Renata (Diane Keaton), Joey (Mary Beth Hurt) e Flyn (Kristin Griffith), tutte dominate dalla imponente personalità materna.

Con grande lucidità e sottigliezza, degna - mi si perdoni lo sproposito - di un Proust, Allen analizza i rapporti familiari, rivelando quanto drammaticamente le singole personalità non si siano sviluppate liberamente, ma in un complesso gioco di influenze, segreti rancori, sofferenze inesprimibili.

Eve è il vero centro del film. Secondo la teoria del "desiderio triangolare" di René Girard - secondo la quale il soggetto desiderante non sarebbe congiunto direttamente con l'oggetto desiderato (per intenderci, come attraverso una linea retta) bensì condizionato da un mediatore del desiderio, un modello prestigioso da imitare - sarebbe lei la grande mediatrice. È stata lei a plasmare con la sua fredda intellettualità i desideri delle tre figlie, tutte in qualche modo obbligate a intraprendere una carriera artistica, nonostante la sola Renata sia dotata di autentico talento. Non a caso, dunque, Renata - infelice come la sorella Joey, non per mancanza di doti, ma per il peso che tali doti la obbligano a portare - è una seconda importante mediatrice del desiderio: Flyn - la sorella più giovane, attricetta di terz'ordine - desidera e di fatto seduce il suo compagno; Joey - incapace di riconoscere la sua scarsa vocazione artistica, nonostante abbia cultura e intelligenza - sembra volerle carpire, come per osmosi, il successo.

A questa celata conflittualità si aggiunge l'imprevisto ingresso in famiglia di Pearl (Maureen Stapleton), nuova moglie di Arthur. Saranno la sua diversità, la sua naiveté inintellettuale, il suo colore (rosso vs. bianco) a rompere gli equilibri già instabili. Sarà lei a infondere nuova vita a Joey, a rompere l'incantesimo paralizzante di Eve.

Gordon Willis, al secondo film con Allen, garantisce una fotografia impeccabile ad un film esteticamente eccellente. I colori dominanti, soprattutto negli interni, dove Eve è regina, sono il bianco, il grigio, il beige, che conferiscono ad Interiors un'atmosfera elegante ma gelida, intellettuale ma sterile. Un senso di gelo, tra l'altro, acuito dall'assenza totale di musica, salvo nella scena della festa del matrimonio.

Interiors è un film molto valido, destinato probabilmente ad una tardiva rivalutazione, insieme almeno a Stardust memories. Probabilmente gli si può rimproverare la trasparenza di certi simbolismi (la vita insufflata a Joey dalla nuova madre, l'acqua come fonte di nuova vita), e una "densità" di contenuti soltanto media, che favorisce forse troppo la leggibilità. Il dramma, poi, non giunge a vette solenni, ma ciò non sarebbe stato alleniano, quindi non gli si può imputare una scarsa riuscita in questo senso.

Nel complesso, dunque, non rientra in quella che per me è la tetralogia dei capolavori assoluti (Io e Annie, Manhattan, Hannah e le sue sorelle, Crimini e misfatti), ma a buon diritto sta tra quei film della maturità riusciti, ma ad essi leggermente inferiori (La rosa purpurea del Cairo, Zelig, Stardust memories).

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