"Interiors" è il primo film drammatico di Woody Allen, il primo film in cui il regista dimostra di poter padroneggiare un linguaggio diverso, che va al di fuori del suo inconfondibile umorismo e dalla sua fisicità. Allen esce di scena in tutti i sensi, per dedicarsi dietro alla macchina da presa, a quello che è senza dubbio il suo piu' affettuoso omaggio a Ingmar Bergman, suo idolo cinematografico, tante volte citato nelle sue commedie. Un omaggio visivo e drammaturgico, che riconosciamo nell'urgenza di narrare di dolori universali e fortemente borghesi, familiari. La trama si incentra infatti su una famiglia dell'alta borghesia, con inclinazioni artistico letterarie: una coppia anziana con tre figlie ormai mature.

Tutto il loro mondo si sfalda quando il padre decide di andarsene, di lasciare sua moglie, donna forte in grado di tenere tutto e tutti sotto controllo. I nervi di lei cedono istantaneamente, alla notizia, introducendola sulla via di una non piu' guaribile nevrosi. A questo punto emergono tutte le fragilità delle tre figlie, ognuna destinata a entrare secondo un percorso personale dentro un abisso emotivo. Di qui è tutto un allargarsi di ferite interiori, fino al drammatico epilogo. Forti sono i simbolismi, bergmaniani anche loro: la casa di famiglia che si affaccia su un mare sempre impetuoso e invernale che sembra poter inghiottire tutto da un momento all'altro, le luci sempre basse e crepuscolari che accompagnano spesso i personaggi sia negli interni, che negli esterni.

Ma il film, oltre ad essere pregevole tecnicamente, è esemplare nel mettere in luce, quei dolori che ognuno di noi può assaporare nella vita, e che sono così maledettamente borghesi: l'incapacità di compiacere i nostri sentimenti, per cercare standard di vita artificiali, che non ci fanno vedere la realtà delle cose. E come questo spesso ci porta a vivere autentiche degenerazioni emotive.

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