[Contiene anticipazioni]

Il nuovo film di Woody, come il precedente, parte da una situazione di pessimismo e disillusione del protagonista. Questo lo rende più alleniano di altre opere degli ultimi anni del celebre cineasta. La configurazione umana del protagonista è talmente simile a molte altre (Boris di Basta che funzioni ad esempio) che il regista taglia quasi corto coi preamboli: dopo un quarto d’ora Joaquin Phoenix ed Emma Stone sono già entrati in confidenza e la collega arrapata Rita Richards ci sta già provando alla grande. Quando quest’ultima si presenta nell’appartamento di Abe (Phoenix) la situazione è quasi di imbarazzo per quanto è palese il suo tentativo di approccio erotico. È un cinema che sviluppa le vicende umane con schematismi davvero estremi. Woody è stanco delle mezze misure, come spesso capita alle persone anziane vuole andare dritto al punto, snocciolare ben presto il nucleo della questione. Ma quando si tratta di vicende sentimentali è sempre un po’ rischioso essere così geometrici: qui le persone si prendono e si lasciano davvero con troppa noncuranza.

Le dinamiche sono talmente ovvie che i personaggi stessi lo ammettono: in questo modo Allen parzialmente si può salvare. La banalità della sceneggiatura viene in minima parte riscattata dal fatto che essa diventa quasi una parodia di se stessa. Emma Stone si offre a Phoenix in modo palese, dicendo: «Passiamo molto tempo insieme, ormai lo sanno tutti», sottintendendo che il normale passo successivo è un rapporto amoroso. I due discutono a cena sulla legittimità di una loro relazione, come se fossero due sceneggiatori che stanno decidendo a tavolino come far proseguire una storia. È una trovata interessante ma decisamente cervellotica e senza conseguenze.

L’avvitarsi su se stesso del personaggio di Abe Lucas ha il suo sfogo nel progetto alla Taxi Driver di uccidere un giudice per aiutare una madre che lotta per non perdere il figlio. A questo punto Abe ha un cambio repentino d’umore, che nella volontà di Allen serve a raffigurare il dissidio tra filosofia rigorosa che porta però all’errore e prassi scorretta che porta invece a fare del bene. Il tutto era stato enunciato dallo stesso Abe durante la prima lezione. La seconda parte sviluppa quindi una trama investigativa che sembra ricordare vagamente Match Point, ma ne ribalta i moventi e i risultati. In questo frangente l’evoluzione di Abe risulta davvero modellata con l’accetta e poco credibile nei suoi esiti finali: il professore fragile, sensibile, depresso, si trasforma in poco tempo in un killer provetto o quasi. Non ha la credibilità del furbissimo arrampicatore sociale protagonista di Match Point.

Lo spunto sul bene e il male, filosofico e concreto, rappresenta la giustificazione all’esistenza del film, che è più che altro l’ennesimo frammento reso in forma cinematografica della coscienza inquieta e combattuta del suo autore. Oltre a ciò, la vicenda non presenta particolari motivi di interesse. È il classico sviluppo alla Delitto e castigo di Allen, ma senza il cinismo spietato di Match Point e nemmeno la ricchezza interpretativa di Blue Jasmine. Non ci sono particolari elementi che salvino il film, mancando qualsivoglia spunto registico interessante, o ricamo estetico di rilievo (musiche, fotografia e scenari sono quasi sempre neutri); anche i personaggi sono stati scritti pigramente e bucano un minimo lo schermo solamente grazie agli attori Phoenix e Stone, adatti alle loro parti.

5/10

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