Va bene, dunque, perché vale la pena di vivere? Ecco un'ottima domanda. Uhm. Beh, esistono al mondo alcune cose, credo, per cui valga la pena di vivere. E cosa? Okay. Per me? ehm, io direi? per Groucho Marx tanto per dirne una, mhmmmm, e Willie Mays e? il secondo movimento della sinfonia Jupiter? Louis Armstrong, l'incisione "Potatoehea Blues"? i film svedesi naturalmente? "L'educazione sentimentale" di Flaubert, Marlon Brando, Frank Sinatra, quelle incredibili? mele e pere di Cézanne, i granchi da Sam Wo, il viso di Tracey.
Dopo gli inizi di carriera come regista, segnati in modo indelebile da commedie brillanti, da"Take The Money And Run" a "The Sleeper", in cui Allen porta sul grande schermo la sua visione aspra della società contemporanea, rendendola accessibile al grande pubblico grazie a irresistibili gag visive alla Buster Keaton, nel 1977 il suo rapporto con la comicità cambia in modo radicale. Infatti abbandona il lato più facile di espressione e si concentra maggiormente sui dialoghi e sulle situazioni surreali che la vita di ogni giorno, specialmente quella di coppia, forniscono spontaneamente.
Da queste nuove basi nasce "Annie Hall" (1977) superbo affresco della psicologia di coppia, e su elementi molto più drammatici che segnano i rapporti famigliari, il suo primo film impegnato alla Bergman, "Interiors" (1978); "Manhattan"(1979) prende la sua forza emotiva direttamente dalle ultime due pellicole del regista e Allen sposta il baricentro dell'osservazione della vita ponendo l'occhio sulla città, New York, vista come terra di grandi speranze e infinite possibilità ma che cova nel suo cuore storie di tradimenti, di amori falliti, di ordinario degrado sociale e morale.
Ecco che allora Allen ambienta in questa metropoli delle storie d'amore, quella del protagonista Isaac (Allen) con la giovane studentessa Tracey (Mariel Hemingway), ("...ho una ragazza che deve andare a dormire presto perchè ha i compiti") e quella apparentemente felice e serena tra Yale (Michael Murphy), il migliore amico di Isaac, e sua moglie Emily (Annie Byrne) . L'arrivo della esuberante e spietata intellettuale Mary (Diane Keaton) distrugge la finta armonia del gruppo, si consumano allora tradimenti, rotture nei rapporti che Allen esprime in modo perfetto grazie ai dialoghi serrati tra i personaggi, il tutto poi è portato sullo schermo da una bellissima fotografia in bianco e nero da Gordon Willis. La scelta del bianco e nero è perfetta, rende il film crepuscolare, si può vedere in "Manhattan" il tramonto degli anni '70 e l'alba degli '80, la fine delle grandi illusioni e l'inizio di un'era più materiale in cui la morale viene messa a dura prova, un tema tanto caro ad Allen che verrà trattato ampiamente in molte altre pellicole del decennio ("Hanna And Her Sisters" su tutte). Il film offre momenti molto belli, si passa da toni leggeri a drammatici molto velocemente, la scena si sposta freneticamente fra ambientazioni in interni ed esterni creando nello spettatore un effetto estraniante che rende l'idea del divenire della città, le musiche di Gershwin danno alla pellicola un tocco splendido, l'incipit accompagnato dalla "Rapsodia in Blu" è probabilmente il più bello della storia del cinema insieme a quello di "Breakfast at Tiffany's".
Alla fine si può considerare "Manhattan" come uno dei film più importanti del regista americano, sicuramente uno dei suoi capolavori al pari di "Crimes And Misdemeanors" e "Zelig".
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