Avete mai pensato che, nel fortunato caso in cui Woody Allen reciterà di nuovo in uno dei suoi film, noi non avremo più la sua voce italiana? Da quando lo splendido Oreste Lionello ci ha lasciato, abbiamo perso a priori la componente vocale di quello che per noi è Woody Allen, fin da piccoli. Di lui Woody disse: "Con la sua voce mi ha reso un attore migliore". E' vero, in fin dei conti di Allen si possono vedere i film in inglese, con risultati ovviamente meravigliosi, ma non riesco comunque a scacciare un po' di tristezza dal mio cuore. E' qualcosa d'inconscio, non posso farci nulla. L'ultimo Woody Allen l'ho lasciato in "Scoop".

Ma no, non voglio intristirvi, debaseriani: anzi, con questa recensione voglio scacciare via un brutto momento o una schifosa giornata grazie alla medicina preferita di tanti uomini di questo mondo: appunto, un film di Woody Allen. Per la cronaca, il regista della pellicola è l'onesto Herbert Ross, che negli ottanta avrò molto successo con "Footloose"; ma la sceneggiatura è del nostro affezionatissimo, e si sente. Diciamo la verità: "Provaci ancora, Sam" (Play It Again, Sam, 1972) è uno dei più bei capitoli della carriera di Woody Allen primo periodo, cioè quello antecedente ai capolavori da "Annie Hall" in poi.

La trama è semplice ma efficace e ricca di spunti: il critico cinematografico Allan Felix (Woody Allen) viene lasciato dalla moglie Nancy, ormai stanca della sua pigrizia ed indole poco propensa alla vita avventurosa che lei tanto desidera ("Voglio vivere! Voglio girare l'Europa in motocicletta! Io e te si va, al massimo, al cinema." "Mi ci mandano. Lavoro per una rivista di cinema!").  Saranno gli amici Dick e Linda, interpretati da Tony Roberts e Diane Keaton, a tirarlo su ed a combinargli appuntamenti, puntualmente rovinati dall'imbranato e nervoso Allan. Linda non demorde e comincia a tenergli molta compagnia, per parlarci ed accertarsi che vada tutto bene. Mano a mano il feeling e l'amicizia tra i due diventeranno così buoni e piacevoli che qualcosa nell'aria comincerà a cambiare. D'altronde Dick è sempre in viaggio per lavoro...

Ma gran parte del film è amplificato dal bellissimo parallelismo con "Casablanca", ed in particolare con Humphrey Bogart, il re del noir-cool. Infatti il film si apre con Allan Felix quasi in trance davanti ad uno schermo di cinema: sta guardando appunto, per la centesima volta, "Casablanca". I suoi occhi sono ipnotizzati dalla distaccata ma forte presenza scenica di Humphrey Bogart, dalle sue parole secche come macigni, dal suo grugno tirato ma elegante: sta dicendo addio ad Ingrid Bergman nell'aeroporto fumoso in una scena che tutti noi conosciamo. I punti di contatto e le citazioni della storica pellicola saranno molti: prendiamo la parte finale in aeroporto, dove Linda e Dick stanno per partire ed Allan è lì con loro.

Nella versione inglese la frase finale sarà proprio "Play it again, Sam", suonala ancora, Sam, citando ciò che Ingrid Bergman dice al pianista di colore del Rick's Cafè. Nella versione italiana invece il senso cambia, perché Woody Allen è Sam Felix, e non Allan Felix. Da qui il titolo "Provaci ancora, Sam", comunque azzeccato ma che fa perdere la citazione. Ancor più meraviglioso è il fatto che durante tutto il film, lo stesso Allan comincerà a soffrire di una particolare forma di allucinazione: vedere in continuazione Humphrey Bogart in impermeabile e cappello, intento a dargli consigli sulla vita e sulle donne:

BOGART "Non c'è nessun segreto, nino. Le donne sono molto, molto semplici. Mai incontrata una donna che non capisse una sleppa sulle gengive o una palla di calibro 45."

ALLAN: "Non avrei mai potuto picchiarla, io, Nancy. Non c'era questo tipo di rapporto, fra di noi."

BOGART: "Rapporto? Dov'è che l'hai imparata, questa parola? Da uno strizzacervelli di Park Avenue?"

ALLAN: "Mica sono come te, io. Alla fine di Casablanca, quando perdesti Ingrid Bergman, non eri distrutto?"

BOGART: "Roba da niente. Un whisky e soda, e via."

ALLAN: "Io, vedi, non bevo. Il mio fisico non tollera l'alcool."

La sceneggiatura del film è robusta e fluente, con grandi innesti di comicità: insomma, è il classico film ben fatto alla Woody Allen: il tema del rapporto uomo-donna, l'amore, il sesso; più in generale, umorismo, poesia e splendidi dialoghi. Il tutto è basato su un testo teatrale scritto ed interpretato dallo stesso Allen al Brodway Theatre, insieme alla stessa Diane Keaton. Fu lì che i due si conobbero ed iniziarono una relazione, che per tutti gli anni settanta sarebbe continuata in maniera incredibilmente magica grazie ad un affascinante binomio realtà-pellicola. Diane Keaton è bellissima, in questo film, ma proprio bellissima, di una bellezza un pò fragile: quasi nervosa, usando le parole di Woody. Le sue caratteristiche estetiche ed il suo modo di muoversi e recitare la rendono perfetta per fare la parte di Linda, che in fondo è solo uno dei tanti personaggi-spalla forniti a Woody Allen in molti suoi film, sempre meravigliosi, teneri e comici: Sonja in "Amore e Guerra",  Annie in "Annie Hall", Mary in "Manhattan", Carol in "Misterioso omicidio a Manhattan".

E' indubbio, quindi, che le componenti principali del film siano la memoria e l'immaginazione, che nel cinema, nell'arte, tendono a mischiarsi. Non è difficile pensare, infatti, ad un piccolo Woody Allen di sette anni già con gli occhialoni neri seduto al cinema a vedere "Casablanca", e restarne affascinato, così come più in generale da tutto quel mondo americano degli anni quaranta a lui tanto caro, raccontato splendidamente in "Radio Days". Un periodo quasi mitico, in tutto il suo romanticismo. Un periodo nel quale la realtà di ogni giorno si mischiava con le voci invisibili ma familiari della radio, e dove gli attori famosi facevano parte di un olimpo inconscio che tutti di tanto in tanto visitavano. Le stelle, i sogni della giovinezza. Era, in una parola, magia.

Oggi è un po' diverso, sempre più ho l'impressione che non ci siano più dei divi e degli attori dall'aura così potente da farci captare questa specie di magia, vera o finta che sia. Non ci sono più gli idoli che furono appunto Bogart ed Ingrid Bergman, o i fratelli Marx, Clark Gable, Charlie Chaplin, Orson Welles, James Dean, Audrey Hepburn, Marylin, Brando, Newman, McQueen (per citare i più famosi, ce ne sarebbero altri cinquanta da citare).

Noi possiamo avere i nostri, più moderni, perché no, sebbene la magia non sia più così forte, anzi...Ma captando facilmente quelli di Woody, ed unendoli alla sua comicità, otteniamo un cocktail di celluloide che ci consente di essere trasportati in un altro mondo per un'oretta e mezza. Un mondo felice.

Bogart come spalla: che invenzione, ragazzi! Chissà che avrebbero detto a questo proposito il vecchio Freud o il simpatico Jung? E il dottor Chomsky? Quello che picchia i pazienti col righello??

Il messaggio è questo: riguardatevi più film possibili di o con Woody Allen, perché chissà per quanto tempo ancora potremo farlo sapendo che nel frattempo lui è lì dall'altra parte dell'oceano, al calduccio nella sua casa di Manhattan, con i suoi pantaloni di due taglie più grandi. E se, per ricollegarsi all'inizio di questa recensione emozionale, non potremo più avere la voce italiana di Woody Allen a parlarci, questa resterà sempre nei nostri ricordi e nei nostri film. Vorrà dire che continueremo a seguirlo in originale, con la sua voce. Che c'importa? E' spassosissima. Anzi, visto che sono qui, in questo sito magico, con un tocco di immaginazione voglio fare una cosa. Appena invierò questa recensione, essa diverrà immediatamente una piccola capsula del tempo, che farà rimanere per sempre Allen con noi, permettendogli così di (citando parole sue) diventare immortale non grazie alle proprie opere, bensì di diventare immortale senza morire.

Sia chiaro, questa non vuole essere una recensione triste o retorica: è solo un piccolo regalo a chi mi ha dato tante ore di buonumore e grande cinema, nonché ottimi spunti per forgiare col tempo il mio umorismo personale. Credo che valga anche per voi. Tutto ciò che succede e che vediamo intorno a noi può essere filtrato attraverso la lente della comicità e dell'immaginazione: lo faceva Fellini, lo faceva Wilder, lo fa qui Allen con Bogart.

Nebbia finale sull'aeroporto di Casablanca. Luci che fendono appena la notte. Risate e fruscio piacevole nella mente mia. Che roba, ragazzi: lo diceva Panella, e lo cantava Battisti, che il vero sta nella memoria e nella fantasia.

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