Misoneista o no? Ovvero dimostrarsi refrattari a tutto ciò che è nuovo oppure accettare acriticamente ogni novità? È questo il quesito che mi sorge ogni volta che vedo un film di Allen e non solo per il fatto che le scelte musicali per le colonne sonore delle sue pellicole sono improntate a quel jazz d'antan precedente all'avvento dello stile be bop (e quindi da Charlie Parker in poi) , ma anche per l'attenzione prestata a personaggi (artisti o intellettuali per lo più) nel mezzo di fasi delicate della propria esistenza e chiaramente a disagio di fronte al nuovo che avanza. E l'ultimo film di Woody ("Rifkin's festival appunto ) non si discosta da questo schema, ricco di dialoghi e battute brillanti.

Precisamente, la vicenda ruota intorno alle vicissitudini di un certo Mort Rifkin (docente universitario di storia del cinema alle prese con la stesura di un ponderoso libro a metà fra l'autobiografico e il trattato filosofico su i grandi temi della vita) che accompagna la moglie al festival di San Sebastián. La consorte è press agent di un giovane regista emergente molto presuntuoso (al punto di dichiarare il suo prossimo film tanto importante da arrecare un contributo decisivo per la soluzione della questione israelo-palestinese, pensa un po'...). Mort sospetta, a ragione, che fra i due ci sia un intrallazzo e prova disorientamento al punto da fare sogni incredibili ispirati a scene salienti di films famosi (resi perfettamente nell'abbacinante fotografia in bianco e nero del grande Vittorio Storaro) e ad accusare vari disturbi per lo più inesistenti. Su consiglio di conoscenti si reca da una dottoressa del luogo (di 30 anni più giovane di lui) per un responso medico e finisce con lo scoprire tutta una serie di incredibili affinità elettive. Ma i moti del cuore possono ingannare e gli eventi successivi prenderanno una piega inaspettata ed amara ...

Esposta in estrema sintesi la concatenazione dei fatti (e senza guastare il piacere della scoperta degli sviluppi finali ) mi pare di ritrovare quei temi salienti dell'opera di Allen. Intanto l'ambientazione predilige mete turistiche europee di grande richiamo, solo che in "Rifkin's festival " (diversamente dal più riuscito "Midnight in Paris") la località di San Sebastián è solo il fugace pretesto per appuntare l'attenzione sui dilemmi esistenziali dei personaggi, soprattutto del protagonista (una sorta di alter ego di Allen) che avverte di essere in crisi . Solo che non sarà in grado di uscirne, sarà incapace di realizzare un nuovo grande progetto (in questo caso un ponderoso libro) e sarà molto disorientato per le nuove situazioni della sua esistenza. Inoltre, anche lui come altri dovrà constatare il carattere fugace dei sentimenti (per colpa dei quali spesso ci si invaghisce di persone inadatte), nonché l'instabilità dei rapporti amorosi.

In tutto questo universo caotico emerge pertanto ancora una volta il mood di Allen improntato ad una robusta diffidenza verso tutto ciò che è nuovo e foriero di instabilità. È quindi motivato il suo richiamo, in questo film, a tutto il cinema d'autore che ha reso grande l'arte cinematografica nel ventesimo secolo e qui i riferimenti a Welles , Fellini, Truffaut, Godard, Lelouch, Bergman, Bunuel sono ottimi ed abbondanti e costituiscono un punto di forza per "Rifkin's festival ".

L'impressione è che Allen non esiti, anche in questa sua prova, a suggerire di non resettare ciò che è passato perché potrebbe rivelarsi una bussola preziosa per orientarci in un mondo sempre più caotico . E pertanto l'ottantacinquenne regista può risultare una sorta di vecchio saggio o, come a volte mi pare, una zia un po' agee' che , ricevendoci a casa per una tazza di tè pomeridiano, ci racconti dei bei tempi andati quando l'età anagrafica non pesava e presente e futuro erano radiosi. Il che può risultare istruttivo, ma non è certo l'unico modo di trascorrere il nostro tempo libero ..

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