Zelig in ebraico vuol dire benedetto.

Zelig esce nel 1983 e Woody Allen ormai è famoso. Ha alle spalle numerosi film di successo tra i quali spicca Io e Annie del ’77 che si becca 4 statuette pesanti di quelle che chiamano oscar...

In questo lasso di tempo esce un altro film tra i suoi più famosi, Manhattan del ’79 ed arriviamo al suo controverso (per le reazioni di critica e pubblico) Stardust Memories del 1980. Flop al botteghino USA, un po’ meglio in Europa, è un po’ il suo I cancelli del cielo… film introverso con echi di Bergman e Fellini, insomma com’è come non è, non arriva, non buca.

Te lo faccio vedere chi sono io, dice la canzone e probabilmente lo disse pure Woody allorchè calò sul tavolo un asso: Zelig.

Ora, so bene che Woody Allen è uno forte, sebbene io non sia (dopo Zelig mi tocca dire non ero) un suo fan sfegatato, di lui apprezzo soprattutto il lato umoristico e comico, meno i suoi infiniti dialoghi e le sue storie d’amore… insomma per me molto meglio Prendi i soldi e scappa e Provaci ancora Sam che non Io ed Annie o Manhattan…

Ma è solo con Zelig che ho capito che è mooolto più forte di quanto credessi!

Zelig è un film eccezionale, originale, sorprendente, incredibile e potrei continuare…

Dico, solo a pensarlo un film così, e realizzarlo in quel modo…

Zelig è ambientato nel 1928 ed è un finto documentario. Un mockumentary (mock = scherzo, burla) con tanto di dedica iniziale ai personaggi (immaginari) presenti nel documentario.

L’operazione è complessa: il suo direttore della fotografia reperisce immagini di repertorio di quel periodo e, in un modo o nell’altro, ci infila dentro Woody Allen, pardon, Leonard Zelig. Ancora, utilizza una pellicola in bianco e nero, sporca ed opaca che riproduce piuttosto fedelmente la grana e la qualità delle pellicole di quel periodo storico per riprendere scene di vita del nostro, le sue sedute psichiatriche presso la dottoressa Eudora Nesbitt Fletcher (Mia Farrow, grandissima attrice, compagna del nostro dal 1980 al 1992). Può sembrare una stramberia, eppure, tecnicamente funziona. Quindi è credibile.

A rendere il documentario ancora più “autentico” è un’altra trovata “sublime” di questo piccolo diavolo occhialuto. Sto parlando delle interviste, fatte 50 anni dopo, a gente che all’epoca “c’era” e racconta i retroscena della vicenda, fornisce chiavi di lettura. Gli intervistati sono degli intellettuali ebraici molto rilevanti che interpretano se stessi. Le interviste sono rigorose, oserei dire meravigliose (e non lo dico solo perché fa rima).

Chi è Leonard Zelig? Bella domanda… è tutti e nessuno (ahah) ma Zelig ha una caratteristica, come dire, soprannaturale! È in grado di assumere in pochi secondi non solo la personalità del suo interlocutore ma perfino i suoi tratti somatici!

Semplicemente pazzesco! Può trasformarsi in una manciata di secondi in un orientale, un pellerossa, un nero… Per forza di cose si viene a sapere, la cosa diviene di dominio pubblico: è il delirio. Non vi sto a dire che succede, sappiate solo che l’inventiva e la creatività che c’è dietro questo lavoro è sbalorditiva, nel rendere credibile una tale assurdità e nell’interpretare le reazioni al fenomeno di un intero paese e poi dell’Europa dove Zelig andrà in tournée… Oh, ma dai non voglio spoilerare. Oddio cosa vuoi spoilerare, anche se te lo racconto per filo e per segno, dopo, quando lo vedi, per te sarà comunque un’epifania…

Nonostante gran parte del film, essendo un documentario, contiene la voce fuori campo del narratore, in Zelig ci sono delle battute alleniane tra le più belle del suo repertorio.

In Zelig, Woody Allen ti fa capire bene che razza di artista sia, anche come regista, dunque tecnicamente. Un metacinema così, raccontato così, con questa intelaiatura, davvero non si era mai visto.

E se siete ancora convinti che io sia solo un regista parlone arguto umorista e fine intellettuale, ci rivediamo tra 4 anni con La rosa purpurea del Cairo.

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