World Party, ovvero che cosa fare se ti interessa produrre la tua musica, avere il giusto successo e non divenire stella di prima grandezza del firmamento pop-rock, pur avendone tutte le possibilità.

Musicisti professionisti di varia estrazione dotati di amor proprio, alta considerazione del proprio talento, che non avessero un gravoso mutuo sul groppone, cospicui alimenti da pagare o solamente smodata avidità, possono di certo far tesoro dell'esemplare percorso dell'artista gallese per trarre preziosi suggerimenti. La ricetta di Karl Wallinger one-man-band consta di pochi punti ed è di una disarmante, cristallina semplicità.

In primo luogo è fondamentale, qualora ve ne fossero le condizioni, abbandonare anche nel momento topico la band di cui fai parte per seguire la tua ispirazione, il tuo percorso, anche se gli interessi materiali ti suggerirebbero il contrario. A Karl succede ben due volte: prima decide di non andare col suo primo gruppo a Londra, gli sconosciuti Quasimodo, che poi di lì a poco diventeranno gli osannati Alarm; poi va via anche dai The Waterboys (questo nome dovrebbe dire qualcosa non solo agli apolegeti degli '80), rimanendo in buoni rapporti con il leader Mike Scott, dopo l'ottimo "This Is The Sea" ma prima del "botto", che avverrà tre anni dopo con "Fisherman's Blues", album da annoverare di sicuro tra i migliori del decennio.

Importante è anche essere contrario a lasciarsi incasellare in un genere, cercare tenacemente un proprio stile, mescolare un po' di blues, rock, pop, folk in dosi quasi uguali; fare tutto sommato musica "easy", ma di quella che non piace troppo al cosiddetto popolo delle charts, né ai sofisticati, ai "parigini" con orecchi solo per gruppi di nicchia o astruserie avanguardistiche. Non guasta anche saper suonare un po' di tutto, essere quasi autosufficiente in sala d'incisione e non affidarsi a produttori alla moda, a maghi della consolle che promettono sfaceli, ma che spesso finiscono per farti perdere solo la faccia. Così com'è utile avere poca o nessuna preoccupazione per l'immagine, per le strategie di marketing, presentarsi per quello che si è, un artista, e non modificare la percezione di te stesso e della realtà solo perché hai un album in classifica o qualche videoclip che passa per MTV (bellissimi peraltro quelli dei World Party). Se poi possiedi anche una testa pensante, sensibilità ambientalista, capacità di scrittura e nella tua biblioteca i libri non ci sono solo per far dannare chi toglie la polvere, ecco che il puzzle è davvero completo. "Goodbye Jumbo", il secondo e più riuscito lavoro di Wallinger, è la migliore espressione di tutto ciò, di come sia possibile far coesistere le proprie aspirazioni, il proprio credo musicale con un discreto successo commerciale; di come si possano raggiungere degli obiettivi senza sbracare o fare patti col diavolo.

L'album, al quale partecipa come corista anche Sinèad O'Connor, che anche grazie al contributo del nostro pubblicherà il suo debutto, è una delle migliori sequenze di pop-song di quegli anni. Il blues di "Is It Too Late" che si sposa mirabilmente con la drum-machine; la quasi rollingstoniana "Way Down Now"; i cori da ragazzi della spiaggia che danno un tocco di classe in "Put The Messagge In The Box"; l'intesa, beatlesiana with gospel "God On My Side"; il folk delle radici gallesi protagonista, insieme alla voce dell'amica Sinèad, in "Sweet Soul Dream". Si chiude con quella che forse è la migliore del lotto, "Thank You World" in cui trapela chiaramente un altro degli amori di Wallinger: il soul e la black più in generale.

Karl purtroppo negli ultimi tempi se l'è vista brutta. Non molto tempo fa un aneurisma se lo stava portando via, riducendolo a mal partito. Fortunatamente il peggio è passato e pare sia riuscito a riprendersi quasi completamente. Proprio in questi giorni è uscita una nuova versione con dvd del suo quinto ed ultimo album del 2000, "Dumbing Up".

Diamogli una chance, facciamo in modo che l'elefantino torni a volare.

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