Rieccolo apparire, dopo 3 anni di silenzio, fatta eccezione per "Black of the ink", un cd e libro, che contiene l'essenza delle predicazioni musicali di David Eugene Edwards, i suoi testi, largamente ispirati alla religione e ai conflitti etnici del suo Colorado all'apparire dei coloni bianchi. Un'uscita interessante, che ha anticipato il sesto lavoro in studio dei Woven Hand, suo secondo progetto dopo i 16 Horsepower.
Lo si attendeva con impazienza, con quell'alone di mistero che lascia poche notizie a fans e curiosi. David Eugene Edwards, l'anima indiscussa dei Woven Hand, non è una persona che si lascia avvicinare facilmente dai giornalisti, ne tantomeno gli piace essere sotto le incadescenti luci della ribalta. Così solitario ed introverso che in pochi hanno saputo del cambio di line up, con l'entrata in scena di Chuck French alla chitarra e Gregory Garcia al basso.
Ricordate le liturge di DEE negli album passati? Le sue aperture folkeggianti, spirituali, acustiche? In "The laughink stalk" tutto si fa più opprimente, infernale: la danza degli sciamani diventa feroce e i nove pezzi di questo cd sono la colonna sonora del mondo perduto dei nativi americani, in un incrocio viscerale di tradizioni, leggende e religione. Un lavoro più oscuro e "metallico" (passatemi il termine) di qualsiasi altra opera mai partorita dalla band. L'iniziale prorompente incidere di "Long horn" già ci lancia all'interno di questo vortice, con un sound più corposo e denso di quanto ascoltato in passato. Una scelta condivisa anche dal produttore Alexander Hacke (Einsturzende Neubauten), che ha donato a questo disco targato Woven Hand, uno spessore più incisivo. Anche la titletrack sottolinea questo aspetto, addirittura commovente nelle linee vocali magistralmente interpreate da Edwards, capace come forse nessuno di rendere teatrale ed evocativa un'interpretazione di questo tipo.
Album da cuffie, da captare in ogni singola variazione: ogni incisione chitarristica porta con se uno scenario di quelle assolate terre americane entrate nell'immaginario collettivo con i film western, ogni colpo di batteria è un passo verso gli orizzonti delle praterie del Colorado. "Maize" è la vetta di un modo di concepire la musica che porta Edwards ad addentrarsi in sentieri oscuri, mai battuti. Un country "fisico", che percuote con il rullare incessante e martellante della batteria in sottofondo, accompagnamento tribale di una voce fuori dal tempo. Ogni elemento è al proprio posto, il mostro divino che combatte con se stesso.
Spiritualità e tradizione, storie, sole, leggende di un mondo perduto. La Bibbia di David Eugene Edwards si è riaperta, ha parlato di nuovo, poi si è richiusa. Quello che ha salmodiato è contenuto nei nove pezzi di "The laughing stalk". Il gambo ride, almeno per il momento. Amen.
1. "Long Horn" (4:55)
2. "The Laughing Stalk" (5:02)
3. "In The Temple" (5:14)
4. "King O King" (4:17)
5. "Closer" (3:17)
6. "Maize" (4:05)
7. "Coup Stick" (4:28)
8. "As Wool" (5:41)
9. "Glistening Black" (5:47)
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