Un tipo solitario e tipicamente appartenente al filone di black metal inaugurato da Burzum. Uno dei tanti, che alla fine, vengono ascoltati dai soliti.
Wyrd è una one man band (aiutato dal batterista JL Nokturnal) costituita da Tomi Kalliola (aka Nargath), il quale si ostina a organizzare progetti su progetti, la maggior parte one man band, quasi volesse farsi concorrenza da solo, se si pensasse a lui come uno che per lavoro suona. Ma poi visitando il suo sito si scopre che si auto-distribuisce prezzando i propri lavori, da richiedere espressamente a lui, a 5-7 euro. Probabilmente non sarà il miglior chitarrista, stonerà ogni tanto mentre proverà le sue voci in stile Falkenbach, sembrerà spesso ripetitivo e noioso nei suoi componimenti... Però a me piace questo suo stile, che è riuscito ad avvicinarsi molto più al folk che al depressive... In sostanza ritengo sia il miglior progetto ispirato a Burzum. Infatti la matrice black, con distorsioni a zanzara, batteria recalcitrante e tastiere un po' a tappeto, domina sempre.
Il lavoro in questione è un po' "strano". Infatti Rota è un disco solo suonato. Si parte con la ridondante Noitakansa, che è una progressione di motivetti estremamente orecchiabili suonati in più modi. Infatti si passa da pianoforti a chitarre, a fusioni di strumenti, sovrapposizioni, rallentamenti, sfuriate e passaggi fortemente evocativi. Il tutto, non spaventatevi, dura quasi 15 minuti. Non c'è pericolo però, perchè vi accorgerete quasi subito se fa per voi o no. Tutta questione di gusti, alla fine di tecnico c'è ben poco da dire. Segue il breve (4 minuti) "Götterdämmerung", che è un impurissimo incrocio tra viking e black alimentato sempre però da una melodia di base. Bella anche qui la progressione, che renderà l'ascolto meno monotono. "Henkien yossa" viene introdotta da un dolce arpeggio continuato, che non trova pace fino al passaggio al distorto ritornello che pare appartenere ad un'altra canzone, poi il tutto viene ripetuto in un alternarsi di riflessivo e istintivo. Spazio ad "Hiisi", tipicamente black che però si avvale di veloci scale quasi sul progressive, azzarderei. Magari solo per farci ricordare che alla fine Nargath saprebbe fare di meglio se solo volesse...
Il titolo dell'album è affidato alla traccia numero 5, "Rota" appunto, Carica di emozioni e di colore. Personalmente ho sperimentato chiudendo gli occhi il materializzarsi di immagini di luoghi incontaminati e immersi totalmente nella natura più selvaggia. E pare che il susseguirsi delle stagioni cambi improvvisamente le atmosfere e i colori passando da tinte chiare, a grigie, a bianco innevato, a notti tempestose, a giornate dominate da venti gelidi e taglienti... Chiude il lavoro (sì solo 6 tracce) "Loitsi", anch'essa prettamente black. La struttura strofa-ritornello, strofa-ritornello, strofa modificata si ripete. Alla fine è un po' il difetto di tutto l'album, che può risultare noioso a causa dell'insistenza sui motivi. Ma può anche essere piacevole farsi trasportare dalla monotonia di un paesaggio dominato dalla pace. Non c'è grande tecnica nell'uso degli strumenti e non credo che Nargath abbia grandi doti chitarristiche quanto inteligenza emotiva. Quello che però mi ha stupito e che sto cercando ancora di comprendere è come possa un disco di chiare tinte black come questo non trasmettere il tipico senso di disagio, misantropia, depressione ecc. che tutti gli altri seguaci di Burzum si impegnano tanto ad esaltare.
Ma molto probabilmente è soprattutto questo che mi è piaciuto di Rota.
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