Uno dei migliori esordi a 33 giri degli anni Ottanta, un grande disco di american music da parte di un quartetto californiano al suo debutto incastrato tra l'emarginazione rabbiosa del punk e il sentimento genuino della tradizione. Nel 1980 i coniugi Exene Cervenka e il bassista John Doe (il nome che si dà ai cadaveri privi d'identità) intrecciano le loro voci nemmeno fossero il duo Kantner/Slick, il propellente musicale è dato dalla chitarra fifties di Billy Zoom e dal martellare sui tamburi di D.J. Bonebrake.
E realizzano un disco travolgente, magicamente sospeso tra incalzanti melodie vocali e l'irruente impasto sonoro tipico del punk'n'roll. L'ex Doors Ray Manzarek produce, e talvolta presta il mitico organo, a nove canzoni meravigliose dove la cruda poetica del vicolo riesce a non affossare del tutto la speranza di trovarci del calore umano. Il rincorrersi delle voci nella storia d'amore dei due emarginati "Johnny Hit and Run Paulene", la ribellione al lato più deprimente dalla città degli angeli nella title-track con la grande X in fiamme come ogni anima tormentata, la caduta di ogni ideale in "Nausea" e ancora l'accellerata data alla cover di "Soul Kitchen", trasmessa in dote da Manzarek attraverso le porte della percezione.
E soprattutto il brano che chiude l'album, quella " The World's A Mess, It's In My Kiss" incendiata dagli assoli chuckberriani di Billy Zoom che scuotono il ciuffo a banana e resa indimenticabile dai continui agganci tra le voci di John ed Exene.
Il fuoco cova ancora vivo sotto le ceneri della blank generation.
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