Leggiucchiando qua è là su DeBaser, mi sono imbattuto in un fatto curioso: su un sito come questo, perennemente cangiante, dove ormai si recensisce di tutto, dall'orbe terracqueo ai peli del proprio buco del culo, non è presente nemmeno una decorosa frasetta su quello che è forse l'apice del signor Xasthur: mi riferisco a "Subliminal Genocide" (2006). Ma in fondo vi capisco: la proposta musicale del misantropo Scott Conner è di non facile digeribilità, è continuamente accanto a voi che vi porge la corda con il cappio e, a lungo andare, uno la accetta per davvero. Tuttavia il vuoto andava colmato, anche se ne è comparso un altro...dentro di me.
Anzitutto, chiariamo subito che il misturòn di base è sempre il solito: una sorta di True Depressive Suicidal Fucking Black Metal (chiamatelo come vi pare) pieno zeppo di urla agghiaccianti, chitarre distorte fino alla nausea, drum machine che si assesta principalmente su un mid-tempo e tastiere funeree e velenose. E allora cos'avrà mai questo lavoro che gli consenta di ergersi sopra gli altri capitoli dell'opera di Xasthur, artista notoriamente prolifico? Beh, presto detto presto fatto: tanto per dirne una, dopo l'intro "Disharmonic Convergence" (oscura, malsana, scandita dal piano e dai cori spettrali) ha luogo l'Apocalisse, "The Prison Of Mirrors": un brano lunghissimo (oltre 12 minuti), dilaniante, disperato, metafora di un'esistenza intera, in cui prima ci si contorce tra atroci spasimi e alla fine (si ascoltino gli ultimi tre minuti) si sprofonda e ci si spegne come un lumicino. Forse il miglior pezzo di sempre del signor Conner, di certo uno degli highlight del suo genere.
Viste le premesse, è inevitabile che l'album poi cali un po'; ci si mantiene in ogni caso su ottimi livelli, tra lamentazioni geremiache ("Beauty Is Only Razor Deep"), malinconia lacerante ("Loss And Inner Distortion") e frammenti più furenti (come la title-track), il tutto intervallato da brevi canzoni strumentali ("Pyramid Of Skulls", ad esempio) che hanno lo scopo di placare le acque tempestose e rallentare il soffocamento dell'ascoltatore. Naturalmente, in un lavoro come questo, caratterizzato dalla ripetizione di riff minimali e dal tappeto sonoro pressoché invalicabile delle chitarre ritmiche, sono essenziali gli spunti melodici che si innalzano sul caos primordiale e feroce, e Xasthur fa centro anche qui. Da sottolineare anche la produzione decisamente migliorata, pur senza risultare (fortunatamente) cristallina o diafana (ciò che sarebbe un delitto imperdonabile).
Xasthur o lo si ama o lo si odia. Chi appartiene alla prima categoria può contare su un disco che non si contraddistingue certo per originalità, ma poco importa: sappia invece che avrà tra le mani un concentrato ribollente di odio e di disperazione furente che si dipana per un'ora abbondante, impressionando come pochi altri lavori e facendo gocciolare il vostro cuore di nero. Xasthur ha cessato di esistere, ma se dovessi scegliere il suo testamento...sceglierei questo. Sceglierei "Subliminal Genocide".
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