Alt! Per recensire un album degli Xiu Xiu bisogna prima conoscere ogni singola riga e ogni singolo suono, perchè Jamie Stewart, il carismatico leader del gruppo, ha da sempre giocato con la reazione e l'ascolto da parte del pubblico: prima lo abbraccia con canticchiabili e rovinosi refrain, poi lo scaglia verso oblii di disperazione crescente. Ecco, perchè, si è detto poco su "Always", invero l'album più debole di quello che è uno dei gruppi più sconvolgenti degli ultimi anni, eppure ancora un'opera completa e bella, ammaliante e straniante, che riesce ad infondere ancora le emozioni palpabili che caratterizzano quest'ambigua creatura musicale.

"Always", ovvero un album che esce dopo "Dear God, I Hate Myself", un album che era prima di tutto del suo leader, personalissimo e sentitissimo, quasi un disco solista, se non fosse stato per la straordinaria e visionaria tempesta elettronica ad opera di Angela Seo, nuova anima femminile che rimpiazza una Caralee McElroy uscita distrutta dall'esperienza. "Always" è un album che sprofonda nel canticchiabile per ferirti con un pugnale quando meno te l'aspetti, che si apre con una bomba ad orologeria come "Hi", il singolo perfetto: violenza elettronica che brucia e colpisce, aprendosi in temerari squarci di sangue e dolenti parabole di tenerezza. Il disco scorre e ti perdi: tra i ritornelli semplici, ma che ti restano impressi sotto i tessuti art-noise ("Joey's Song", "Beauty Town", "Born To Suffer", "Gul Mudin", "Chimney's Afire", quest'ultima, quasi un'ideale prosecuzione dell'anthem rock di "White Nerd", il potentissimo urlo rock racchiuso nello scrigno di "Women As Lovers"), improvvise scariche di rumore e rabbia ("I Love Abortion", bellissima), nostalgie new-wave ("Honeysuckle") e psicodrammi degni del migliore Stewart ("Factory Girl" e soprattutto, la straordinaria "Black Drum Machine", posta in chiusura, a trascinarti negli inferi con quella bellissima, dolorosissima richiesta di scuse), ci si ritrova anche a fermare il tempo con gli incantevoli sussurri su piano di "The Oldness", quasi una ninna nanna per messe nere, e uno sbilenco, godibilissimo duetto con Carla Bozulich ("Smear The Queen"). 

Al contrario degli altri dischi degli Xiu Xiu, è un album più inquadrato, nonostante ancora la voglia di osare, più accessibile e controllato, ma ancora capace di graffiare. Nonostante la speranza in un nuovo "A Promise", vertice della loro arte, sempre più spesso ci si ritrova a cadere in questi abissi.

E fa male. E piace.

Carico i commenti...  con calma