C'è qualcosa di perverso nello sguardo di Jamie Stewart che ti spinge, ogni volta, a farti precipitare nel suo oblio personale di violenza domestica, schiaffi sotto il vischio, gatti e spazzatura. C'è qualcosa di perversamente cullante nella sua voce, una delle voci maschili più splendide che mi sia mai capitato di ascoltare, così rotta, così oscura, ma anche conciliante. C'è qualcosa di perverso nella sua musica, che incarna tutti i sentimenti possibili per un essere umano.
E non chiamatela no-wave, new-wave o quant'altro: perchè la sua musica è qualcosa di indefinibile, che va ascoltata con il cuore, prima che con la testa.
Ed eccoci qua. "Women As Lovers", ovvero il lavoro più strambo e strepitante di energia e originalità che abbia mai prodotto con i suoi Xiu Xiu, il più disomogeneo e puerile, ma anche complesso e strabordante di poesia. Un album che si apre con un inno indimenticabile come "I Do What I Want When I Want", pura anarchia pop sotto quei "turuturutrutu!" e il risonare del sassofono e che, poi, ti getta immediatamente nelle maglie infernali di un'indefinibile, ma struggente "In Lust You Can Hear The Axe Fall", tour de force di urla e rumore bianco, apparentemente casinista, eppure emozionale/emozionante all'inverosimile. Roba che con una mano ti accarezza il volto e con l'altra ti scava nelle viscere.
E già ti ritrovi immerso nelle acque del Lete, nel mood di un album che sembra venir fuori da una cassetta dei ricordi sotterrata e riportata alla luce. Un disco che con l'acustica obliqua di una splendida "F.T.W." riesce persino a muoverti l'anima con garbo, ma che è in grado anche di puntarti una pistola alla tempia con il quasi-hardcore di un anthem (nel vero senso della parola) come "White Nerd": rumorismo astratto, urla lanciate nella penombra e ritornello che spara all'intestino.
E quando inizi ad orientarti, arriva, inaspettata, una cover di "Under Pressure", dapprima fedele e, poi, stuprata nel suo inconscio, gettandoti nelle lievi danze luttuose di "Black Keyboard" e negli inarrivabili oblii di una ballad come "Master Of The Bump", fino alla ritmica preghiera oscura di "The Leash", dalle cadenze quasi rap, quasi abisso, quasi anima.
Ci sono anche i cori alternati di una violentissima "You Are Pregnant, You Are Dead" , dove le voci, quasi sussurrate, lottano contro il risuonare violento delle percussioni, ma soprattutto c'è una devastante "Child At Arms", apice del disco, che parte come un potenziale inno e poi si snoda, fino a recuperare la sporcizia iniziale, in un urlo che sconquassa e avvolge ogni cosa. è dolore, è gioia, euforia, metafisica. è emozione.
C'è qualcosa di perversamente affascinante in questa combinazione di sensazioni e meraviglie, di stupori infantili e vestiti della comunione sporcati di sangue. C'è qualcosa di affascinante in questi ritornelli obliqui, in queste dissonanze cosmiche.
C'è tutta la poesia carnale di Jamie Stewart.
Ed è di nuovo un grande, grandissimo disco.
E con l'anima spezzata in due, mi rinchiudo nel mio armadio, a fissare le formiche.
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