Dicevo poco fa che Jamie Stewart, in questo periodo, non sta proprio fermo. Dopo l'ennesimo bell'album con quella donna carrarmato Angela Seo, ormai l'elemento fisso della sua creazione Xiu Xiu, vari split, apparizioni qua e là, featuring, esperimenti noise, canzoni spurie, rieccolo con gli italianissmi Larsen per il terzo tassello del progetto XXL (Xiu Xiu Larsen). Una musica che, pur confermando la poetica Stewartiana, musicalmente, se ne distacca molto.
Già quando ascoltai per la prima volta il primo lavoro di questa bizzarra combricola ero rimasto sconcertato. Da grande fan dell'eterno bambino perverso californiano, mi aspettavo tutto meno che questo.
Perché la musica degli XXL non ha niente delle tipiche abrasioni disperate che hanno caratterizzato tutti i progetti di Stewart, anche quelli più accessibili (gli IBOPA, i Ten In The Swear Jar), ma è elegantissima e perfetta. Cristallina nelle sue composizioni lunghissime, con tessiture post-rock e spiragli di elettronica gentile e avvolgente. Ogni tanto appare lui, bellissimo come sempre, a cantarci sopra con estremo autocontrollo. Incredibile, ma vero. Stewart, con i Larsen che si liberano di ogni catarsi in sottofondo, riesce ad esprimersi con il suo timbro riconoscibilissimo e originale, ma lo rende più caldo, melodico, dolce. Rimasi sconcertato davanti ad una splendida ballata che prendeva il nome di "Little Mouse Of The Favelas" e rimango ancora più sconcertato davanti alle otto composizioni di questo nuovo lavoro.
Stewart, qui, è presente, ma è sempre meno palpabile (sette pezzi strumentali e solo l'ultimo cantato) e ci si pone il dubbio se questo sia, in realtà, il nuovo album dei Larsen, con una piccola apparizione dell'icona del disagio del nuovo millennio, più che una collaborazione. I sentimenti di "Dude" sono, incredibilmente, positivi. Lo ascolti e ti abbraccia, ti avvolge con una bellezza straordinaria, con una capacità quasi immediata. Pezzi che si accarezzano, si illuminano di immenso e diventano tramonti da ascoltare. "Dude" non emerge troppo, neanche rispetto ai primi due dischi degli XXL, che avevano quelle canzoni che sapevano turbare nella loro esasperata compostezza.
Al contrario, questo capitolo, è perfetto come sottofondo di immagini meravigliose proiettate su un muro bianco. Due soli i picchi che si distinguono: "Krampus", che è un incantesimo acustico e prezioso che fa venire i brividi pur nella sua semplicità e la finale "Vairie", con la voce di Jamie che giunge inaspettata a scuotere. E resti lì ipnotizzato. Il resto, omogeneo, è una danza continua di angeli e sirene che sguazzano in un cielo nuvoloso, ma candido.
Non è un album che si fa ricordare, non sarà mai una pietra miliare del post-rock: è "solo" un piccolo disco, in grado di darti sensazioni e colori quando lo metti nello stereo. Non è grande, non è eccelso, ma ad avercene di più lavori di questo genere.
Perché è vero, non mi ricordo un singolo arpeggio (salvo le due tracce citate) di quei movimenti, ma ho l'insana voglia di rimetterlo su. E lasciarmi cullare.
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