Le sfumature rosse, pregni di terra battuta, quanti pomeriggi d’estate passati inseguendo la pallina, voleggiando prima col legno e poi con i metalli. Sono cambiate molte cose, è cambiato il contorno, ma non è cambiato il gentile divertimento di calcare la rossa argilla battuta dei campi da tennis. Per i ragazzi della mia generazione, Yannick Noah, era un esempio, era una fonte inesauribile di ispirazione, era il modello, il colpo, l’atteggiamento a cui rifarsi. L’energia per affrontare lunghe e torride partite estive. Un personaggio inossidabile che non ha mai perso l’umiltà delle persone sane e la capacità di divertirsi e di “Fare” con passione. Un istrione dentro e fuori dai campi, sopra e sotto i palchi, di tale carismatico temperamento da garantirgli il successo in ogni gesto, in ogni proposta, in ogni attività.

UNA STORIA CURIOSA DALL’AFRICA NERA

A chi non interessa avere notizie del “Noah-sportivo” consiglio di passare direttamente al paragrafo sottostante, altrimenti, se siete interessati a conoscere una parte importante della sua storia, proseguite di seguito.

Difficile avere notizie precise dell’infanzia di Noah, si sa che, originario del Camerun, classe 1960, Yannick, venne scoperto da Artur Ashe (elegante campione del tennis anni ‘70) in missione in Africa assieme all'olandese Tom Okker per conto della Federazione Internazionale di Tennis. Dopo essersi fatto notare, nel 1971 il giovane camerunense si trasferì a Nizza, dove, grazie al suo "talent-scout" cominciò a frequentare il Nice Lawn Tennis Club. Il disagio e la lontananza da casa, non influirono mai sulla brillante carriera giovanile, Yannick sapeva tradurre le sue ansie e tensioni in numeri circensi, sapeva esternare le emozioni e comunicarle ai bordi del campo. Valse la stessa cosa il giorno in cui, professionista, fece proprio il Roland Garros (uno dei quattro tornei più importanti del mondo, che si tiene a Parigi) facendo innamorare tutti i francesi. Giocatore dotato di un fisico eccezionale, dalla straordinaria reattività e dalla lunghissima "apertura alare", fece dell’elegante gioco d'attacco e del temperamento gagliardo i suoi punti di forza, deliziando le platee con volée spettacolari, balzi felini e inventando colpi che ancora oggi vengono ricordati con il suo nome. Riuscì a raggiungere i suoi migliori risultati sulla terra battuta dove, oltre Parigi, vinse anche Roma nel 1985, e riuscì a rimanere per lungo tempo tra i primi dieci della classifica mondiale, terzo nell'86.

In Coppa Davis esordì nel 1978 a Parigi contro la Gran Bretagna, con un bilancio totale di 22 presenze e 39 vittorie. Inseguito fu anche capitano della squadra francese di Coppa Davis. Noah era sicuramente un grande trascinatore di folle, un personaggio tra pochi capaci di ottenere un seguito ed una fama di gran lunga superiore all'importanza dei suoi risultati sportivi: 23 tornei vinti in singolare e 16 di doppio. Ora, come tanti altri tennisti del passato, si diverte partecipando al circuito del Senior Tour e a organizzare tornei per raccogliere fondi per la sua associazione umanitaria “Enfant de la terre”.

ANIMA POLIEDRICA

Noah, componeva e suonava già durante la carriera tennistica, aveva trascorso una vita lacerata dal dubbio, abbandonare il tennis e dedicarsi pienamente alla musica o proseguire ambedue le attività? Come lui stesso ammise: “Il tennis mi aveva dato fama, una nuova nazionalità, aveva costruito la mia persona ed ho, ancora oggi, dei ricordi e delle emozioni legate al campo, che non mi permettono di lasciarlo..” e così Yannick, rimandò semplicemente di qualche anno l’inizio di un attività musicale più seria e curata. Dopo la fine della carriera e degli impegni in qualche misura legati al mondo del tennis, Noah, incide subito due album che stentano ad avere successo e sono composti senza l’assistenza di cui necessita un autore ancora inesperto. Saranno il carisma, la vivacità, l’entusiasmo trascinante che bacia solo alcuni, ad aiutare Noah a radunare attorno a se una band ed un enoturage all’altezza di un grande autore. Nascono così gli album del successo in terra francese, l’omonimo "Yannick Noah", "Pokhara" e l’ultimo "Metisse".

"METISSE", UN VIAGGIO LONTANO OLTRE LE NOTE DELL’AFRICA

E’ inutile dire che se non avessi conosciuto Noah, se non fosse stato uno degli sportivi a trascinare la mia mente cosi’ tanto lontano, se non avessi conosciuto il suo temperamento vivace e scanzonato anche nei più austeri stadi del tennis, mai avrei avuto tra le mani un disco francese di questa fattura. Il primo lavoro di successo, dal titolo omonimo “Yannick Noah”, trascinato dal singolo “La Lionnes”, fu album di chiara matrice reggae, genere per il quale Yannick non nascose mai la preferenza. Il passare degli anni ha affinato tanto nei testi, quanto dal punto di vista musicale, il modo di scrivere di Noah, dalla cui penna sono nate via via opere più impegnate, intense, ricche di suoni e strumenti e dalla forte connotazione valoriale concretizzata con l’impegno della fondazione benefica (Enfant de la Terre) a favore dei bambini d’Africa.

L’ultimo album, "Metisse", è il vertice di questa maturazione, punto di arrivo dalla struttura complessa che porta in se brani registrati in studio e tracce “rubate” durante la tournee dall’anno passato. In questo lavoro, il cuoco della musica, arricchisce il ventaglio degli ingredienti, non serve più solo reggae i ogni salsa, annaffia con delicati vini francesi; il reggae stempera, sfuma in una gradevole miscela di suoni e colori, di altri generi tra cui di primario valore sono il rock e la canzone sentimentale francese. Mosso da uno sconfinato amore per l’Uomo, il suono vibrante e la lingua francese si mescolano dando origine ad un nuovo reggae, vivo e vegeto, un genere distante dai tanti sciatti prodotti che provengono dalle terre italiane, un viaggio nella più morbida natura umana.

IL CANTO DEGLI ULTIMI E DEI SERVI

Lo sguardo accorto alle frange più sensibili della popolazione francese, un pensiero mai sopito presso le piccole vite della sua terra natia. Soprattutto in quest’album che segue la rivolta nelle Banlieux e mosso dalle eterne vicissitudini centrafricane, Noah, si è sentito chiamato in causa ed ha realizzato quest’album mosso da un irritrovabile senso di gratuità, mettendo la propria voce, ancora una volta, al servizio degli ultimi e dei più deboli, con la sua musica di redenzione, con versi dalle calde tinte umane, manifestando il disagio che lui stesso aveva provato pur immigrato “speciale” alcuni anni orsono. Ubaldo Scannagatta, uno dei più autorevoli giornalisti di tennis italiani, ci riferisce: “Noah, è una delle persone a cui darei 10. Nonostante ottenga successo in ogni laddove, quando arriva al mattino a Roland Garros, non manca mai di venirmi a salutare e ricordarmi quando, da giovanissimo, vinse il torneo di Firenze che noi organizzavamo. Gli do 10 per l’ umiltà dimostrata e perché è una persona vera anche in questo ambiente non semplice.

L’IMPORTANZA DI ONORARE UN TALENTO

Poche persone hanno il dono del successo, del seguito copioso, del fascino in ogni piega del proprio vestito. Pochissime, hanno questo dono e si dimostrano capaci di rimanere cio’ che sono, semplici, vere, entusiaste e naturali. Yannick Noah è stato un punto di riferimento lungo un’ intera stagione della mia vita, ed oggi, è piacevole ritrovarlo portatore di un messaggio e musicista animato da un amore per l’umanità che traspare in ogni tiepida nota.

"Metisse", simpatie a parte, è una di quelle opere non scontate che merita di essere ascoltata, nel suo reggae contaminato, tagliato da altri generi che confluiscono nel grembo di madre Terra, sotto le distese della nera gente.

Carico i commenti...  con calma