Rimasi da subito leggermente diffidente, quando mi ritrovai un po' per caso, senza avere avuto fino a quel momento il bisogno materiale di ascoltarlo, l'ultimo cd degli Yellowcard.

Il gruppo in verità da simpatizzante del genere lo conoscevo abbastanza bene, tale da essere sicuro di non perdermi molto. Questo, perché (teoria personale ma forse estendibile a terzi individui) ho sempre ritenuto gli Yellowcard come i cuginetti di sangue dei Blink-182. Naturalmente il paragone è tutt'altro che benevolo a favore del trio di San Diego, visto la loro mediocre proposta musicale (con le rare eccezioni).

I nostri ‘Cartellini Gialli' hanno un grande pregio: quello di avere un violinista nella line-up che apporta una ventata di freschezza al sound, ma lungi da me di voler considerare questa un magica invenzione, visto che se no si dovrebbe dire lo stesso della tromba NOFX-iana e via dicendo, ma che comunque rimane un elemento molto positivo. Tuttavia sempre dal gruppo sopra citato prende anche gli stessi difetti.

Ora parliamo un po' del disco. Partendo dal presupposto che non sapevo che aspettarmi dal cd, tenendo presente che secondo pubblico e critica il miglior disco loro sia "Ocean Avenue", che già ascoltando qualche traccia non mi aveva convinto affatto.

Potrei dire semplicemente ascoltate le traccie x,y e z e tralasciate tutte le altre e stampare il mio onesto 2/5 e basta, tuttavia parliamone un po'.

Il fattore positivo del disco è quella sicuramente di variare le sonorità dai classici pezzi di latte macchiati da scaglie scure di caffè (pop-punk) passando per pezzi più lenti e melodici con sonorità pop-rock, cercando di non annoiare l'ascoltatore.

Peccato che al tutto manchi quel qualcosa in più che elevi la proposta musicale, e a questo si aggiunge l'aggravante di condire il tutto con refrain spesso un po' troppo appiccicosi (guarda caso di cui i Blink-182 sono stati maestri in senso negativo del termine).

Ma andiamo con ordine..

La doppietta iniziale va a centro, ottima l'opener "The takedown" molto tirata e diretta, con tanto di assolo prima di chitarra e poi di violino, risulta essere la migliore del disco. Di diverso avviso invece "Fighting" classico pezzo collage punk con ritornelli canticchiabili e discretamente riuscita che sembra uscire da "Ocean Avenue".

Poi arrivano i passi falsi quando la band cerca di coniugare melodie forzate con venature più rock ("Skrink the world") arrivando ad auto-distruggersi con la pessima "Light up the sky".

Gli altri due pezzi degni di nota, insieme ai primi sono "Five becomes four" e "Shadows and regrets".

Il primo pezzo ci ricorda che questi sono gli Yellowcard di "Radio song girl", qui a dominare è il buon drumming preciso e quadrato del batterista e le chitarre molto graffianti. Pezzo che visto il suo incedere tipicamente hc new school style ricorda molto band quali i Lagwagon e ultimi NUFAN.

"Shadows and regrets" è invece una ballatona semi-acustica che rappresenta il momento più emotivo del disco. Apprezzabile, anche se non raggiunge i picchi di "Only one". Da segnalare infine le curiose voci bianche che costellano la title-track "Paper walls". Il resto è francamente tralasciabile e non presenta spunti interessanti se non la noia che subentra quasi da subito.

Le lyrics parlano di amicizia, amore, temi autobiografici e dei rapporti tra i membri della band in "Fives becomes four" che tratta la dipartita del loro chitarrista.

Da ascoltare solo se si è fan della band o se si vuole ascoltare un disco senza molte pretese e aspettative. Ma nello stesso genere, c'è molto di meglio.

Carico i commenti...  con calma