Uno sconosciuto alla batteria…si vocifera che abbia imparato il repertorio in 3 giorni. Un nanetto dall’ugola d’oro dietro al microfono, un tastierista ex sessionman con i capelli lunghi fino alle chiappe e il mantello scintillante, il solito spilungone burlone al Rickenbaker e quell’altro alla chitarra, nei suoi giorni migliori. Gente che urla, l’impazienza nei loro cuori, nei fischi di approvazione. Gli applausi ad acclamarli e caricarli e poi…l’incantata tastiera di Rick The Magician Wakeman, con il glorioso Opening (Excerpt from the “Firebird Suite”), e il pubblico esplode, così come la band irrompe con una grande versione di Siberian Khatru, uguale al disco, ma forse più emozionanate  perché dal vivo, appunto. Assaporiamo qui, dunque, la perfetta armonia fra le voci di Jon Anderson, Chris Squire e sporadicamente Steve Howe, il leggendario assolo bacchiano di Rick Wakeman e diamo il benvenuto ad Alan White, un grande batterista destinato a non lasciare mai più la band, completando così ciò che da molti è ritenuta essere la formazione classica.

Oramai gli Yes sono consacrati a leggenda…di questo si tratta. E di magica leggenda è intrisa ogni nota di questo Yessongs, che come un diadema tempestato di gemme e perle preziose, che suggella la trilogia d’oro degli Yes, la cui carriera ha raggiunto già uno dei punti più alti. Solo una formazione in forma come questa può infatti sfornare una tale versione di Heart Of The Sunrise, dall’intro hardprog, al cantato dalle liriche di grande effetto (Sharp distance / How can the wind with its arms all round me…), fino al pianoforte da brivido nel finale, il tutto supportato dal grande basso in evidenza di Chris Squire.
Le sleeve notes ci segnalano che Perpetual Change è ancora suonata con Bill Bruford dietro le pelli (oh, che assolo di batteria!), come ai cari vecchi tempi, e difatti nulla smentisce la grandezza del pezzo: Steve Howe fa faville, allungando la durata del brano con il suo assolo. L’intro di And You And I comincia con il sintetizzatore di Wakeman accompagnato dalla slide guitar di Howe e si riallaccia al vecchio intro di accordi per chitarra. Forse in questo brano l’unica pecca è la voce, registrata in modo non proprio ottimale.

Mood For A Day, che apre il secondo LP, ci fa dimenticare tutto, nella sua atmosfera a metà fra il classico e lo spagnoleggiante. Cogliendo l’occasione, Wakeman promuove il suo primo album solista, suonandoci pezzi di Catherine of Argon, Jane Seymour  e Catherine Howard, da The Six Wives Of Henry VIII, che sfociano in uno dei suoi stravaganti e meravigliosi assoli che mischiano anche qui pezzi classici con il progressive più incontaminato. Roundabout è fantasmagorica come nel disco, con quell’organo di Wakeman…indescrivibile. I’ve Seen  All Good People è stata messa lì apposta per emozionarci, con quella specie di mandolone, in Your Move, che suona divinamente Steve Howe e i coretti perfetti, per poi esplodere con il rock nella parte omonima della canzone. Long Distance Runaround collegata a The Fish, vede anche qui la presenza di Bill Bruford. Serve ancora aggiungere che l’esecuzione è più che perfetta?

Terzo Lp: un lato solo per Close To The Edge, come a sancire l’importanza del brano e l’imponenza della band nell’eseguirla da vivo.  Poteva finire così? No, non senza la versione variata e super allungata di Yours Is No Disgrace e poi quella genialata di Starship Trooper: Life Seeker è il mitico main theme, poi il velocissimo arpeggiato di Disillusion e infine il trionfo con Würm, tre accordi di puro genio, con il flenger della chitarra, il successivo assolo e la grande scelta di introdurre una parte di sintetizzatore. Aver assistito dal vivo a uno show di questo genere deve essere stato qualcosa di sublime. Se poi ci aggiungiamo il grande coraggio di questa band di pubblicare un live in un triplo vinile, cosa non da poco per quei tempi (1973), il tutto confezionato in uno dei più splendidi lavori che Roger Dean abbia mai illustrato, possiamo eleggere questo live ad uno dei più importanti del Pogressive. Alcuni, forse i più pignoli, lo hanno eletto a preludio di quei due album successivi, che tanto sono riusciti a spaccare le opinioni di pubblico e critica. Ma a noi non ce ne frega niente. Alla fatidica domanda:“Fu vera gloria dunque?”, noi risponderemo senza esitazione: “Sì, indubbiamente”.

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