Sostenne Sick Boy in un memorabile passaggio di Trainspotting: "prima ce l'hai e poi lo perdi".

Una costante, non c'è niente da fare, un teorema per cui la stragrande maggioranza delle carriere artistiche assume la spietata forma di una parabola ove a ogni ascesa segue un inevitabile declino.. 

Ed è ciò che a me pareva per gli Yo la tengo, nel cui caso gli ultimi due dischi avevano assunto la forma stanca e pacata e solo superficialmente emozionante del disco “vecchio”.. per questo che il nuovo album suona ancora più incredibile, non solo una meravigliosa eccezione che conferma (?) la regola, ma anche probabilmente la miglior fatica mai prodotta dagli Yo la tengo. Che tornano ad esaltare con l’elettricità, come conferma da subito il sorprendente incipit di “pass the hatchet”, che introduce l’ennesimo meraviglioso trip con nove minuti di riverberata e ipnotica cavalcata psichedelica. Ma anche sopratutto che dimostrano un’intelligenza e una consapevolezza con pochi pari, nell’essere consci che ciò che avevano intrapreso ultimamente non era che la loro versione più stantia.

È per questo che “I’m not afraid of you and I will kick your ass” assume la forma di un ragionamento sul proprio percorso, sulla propria espressione, su ciò che ha contraddistinto il loro essere musicisti e artisti. Ragionamento, badate bene, non semplice riassunto della loro carriera, ma elaborazione sulla stessa. Il che si traduce in una rinnovata umiltà, non tentare di prendere nuove strade che forse a questo punto non ci saranno mai, bensi’ essere se stessi al 100% ma con un enorme dose di ironia in più (che può avere solo chi è capace di accettare propri limiti), e allo stesso tempo con una capacità di emozionare, di toccare la sostanza stessa della propria espressione musicale (quell’evocazione intimista e dilatata che li ha sempre contraddistinti), di cui mai avevano dato prova cosi teorematicamente.

Questo è dunque un disco eccezionale perché in maniera del tutto anacronistica ribadisce l’importanza estetica di quella totale libertà espressiva che è stata l’anima filosofica (musicalmente) del punk (e quindi dell’Indie) dimostrando che proprio in nome di questa libertà qualsiasi linguaggio ormai codificato può comunque assurgere a nuova linfa vitale. Si potrebbe dire, in termini prettamente storico/musicali, che per la prima volta il rumorismo della linea evolutiva più ambigua e "east coast" della psichedelia americana incontra nientemeno che gli arrangiamenti fantasiosi della swingin london, filtrati da quella sensibilità jingle Jangle che dai Byrds è passata per i R.e.m.

Ma sarebbe decisamente riduttivo fare questione di generi parlando degli Yo la tengo. Ciò che conta è che sono loro all’ennesima potenza, solo più maturi, invece che più vecchi.

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