Avete letto la mia recensione dell'ultimo cd degli Ahleuchatistas? No? Ora avete un motivo per leggerla, e io ho un motivo per vergognarmi.

Ve l'ho linkata, spudoratamente, non per smodato desiderio di fama, ma perchè, fra Ahleuchatistas e questi nostri Yowie corre buon sangue. Diciamo che, a livello sonoro, potrebbero essere facilmente accostati. Quasi a creare un genere.

Però, per spiazzarvi ed incuriosirvi e, perchè no, invogliarvi all'acquisto, vi dirò che questi Yowie sono peggio: i loro accostamenti disarmonici e dissonanti raggiungono picchi tali da non apparire più l'opera di due chitarre e una batteria (questo l'organico del gruppo); gli intrecci follemente rapidi e perversi delle due linee (a)melodiche cozzano, si fondo, si riuniscono, riemergono, creano suggestioni diverse: sensazione di straniamento, di alienazione. Non c'è nulla di umano. Proprio nulla.

A livello più concettuale (fa davvero figo dire così), questa disumanità si esprime in vari modi: innanzitutto mediante l'abbandono totale della forma. E non si parla solo di forma-canzone (chiari influssi di musica d'improvvisazione), ma anche di forma-album (le 7 canzoni hanno per titolo un nome femminile iniziante sempre per T e finente, tranne per una canzone, in A), e di forma-strumento (i confini fra gli strumenti sono superati, e non è raro includere la chitarra nella sezione più tipicamente "percussiva" del suono), e perfino di forma-nota, visto che i chitarristi sono impegnatissimi a non suonare nulla che sembri una singola nota ma uno swing-swang-baradadiiindondan atonale, o meglio, ipertonale; insomma, non c'è forma: il suono vaga in strutture atemporali, aspaziali, collocate unicamente nella percezione di chi ascolta.

E' un album incredibilmente aperto alle più varie letture, critiche, apprezzamenti e quant'altro. Ma voi non penserete a questo ascoltando questo macigno di 29:52 minuti, direte cazzo, cazzo se fa paura, cazzo non è roba normale questa, cazzo non c'è droga che regga.

Questa è roba forte, gente. Sono gli Yowie.

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