La volontà di conquistare un pubblico più vasto, quella traspariva già dal singolo anticipatore “Spectrum”, primo vero grande successo targato Zaslavski in grado di fare breccia perfino nelle radio (e televisioni) nostrane. Il brano, pur lanciando più di una strizzata d’occhio alla dance d’oltremanica contemporanea, rimaneva... da Zedd.
Non avevo quindi particolari timori per questo esordio su major – Universal – anzi nello schiacciare play ero più che fiducioso; l’apertura di “Hourglass” mette subito le cose in chiaro, deflagrando in un pacchiano e roboante giro di synth a la Guetta con tanto di cantato femminile: ancora una volta avevo peccato d’ingenuità.
Seguono “Shave It Up”, vecchio cavallo di battaglia inserito probabilmente con il solo scopo di salvare la faccia, (in)opportunamente rieditata e dotata di una coda… di violino, e la già citata “Spectrum” (rigorosamente in versione radiofonica).
Il resto del disco insiste sul sound patinato e la composizione nulla proprie della (pop)dance più dozzinale, con la title-track che (giustamente) tocca il fondo in questo senso; risaltano positivamente - forse più per la pochezza di ciò che le circonda – solamente il duo “Codec”/”Stache”, spigolose e tirate (come avrebbe dovuto essere l’intero album!) e la conclusiva “Epos”, che ben mescola complextro e sfumature progressive.
Questo non basta a salvare Clarity – un album che a prescindere dal cambiamento di sound appare senz’anima – ma se non altro lascia sperare che, una volta che i riflettori del mainstream inevitabilmente punteranno su altri generi, Zedd potrà tornare a produrre... da Zedd.
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