La forza di Calcare sta proprio nel riuscire a mettere il generale, l'universale, all'interno di un costrutto narrativo che sta quasi rasoterra, nel senso che si occupa con grande dettaglio e cura delle questioni più normali, il cazzeggio e i lavoretti, gli amici e le cotte. Insomma, il genio di Michele Rech sta nel portare a forma artistica gli scenari umani dei quartieri romani, compreso un linguaggio che usa sapientemente la cadenza inconfondibile dell'autore e anche qualche parola del romanesco schietto.
Di più, c'è un approfondimento psicologico e analitico delle questioni quotidiane che porta a risultati quasi paradossali, iperbolici, o semplicemente riesce a dipingere i personaggi con un gusto dell'assurdo e della caricatura che sono tratto distintivo dell'autore. Così abbiamo l'analisi della casa come fosse il Westeros del Trono di Spade, il migliore amico che sembra uno zombie divoratore di gelati, lo studio approfondito del perché Zero sia ossessionato dal fare le cose in anticipo. Le fisime su come comportarsi con le ragazze, raccontate con una sincerità che non può non colpire.
È questa la sua forza: la verità, il racconto purissimo delle sue storie che sono le storie di tutti, alla fine dei conti. Ma sono vicende luminose non tanto per la morale che se ne trae (per quanto apprezzabile) bensì per tutto ciò che ci aggiunge di collaterale. In questo senso, guardatevi il video con gli easter egg per capire quanta devozione ci sia in ogni scena, quanti riferimenti alla cultura pop (i poster sono parecchi), quanta realtà nei luoghi, nelle persone (che ridere le ragazzine topo), quanti strati di coscienza si depositano in ogni azione che Calcare compie. Azioni normalissime, e per questo ancora più preziose per lo spettatore, perché si ritrova in esse senza quella solita distanza prospettica di film o serie tv. No, abbracciamo la normalità di Michele come fosse la nostra, e la coscienza Armadillo che viene a giudicarci ci lascia sempre un pungolo, un rimorso, una ferita. Ci apre davvero degli interrogativi.
Il tragico che sopraggiunge viene maneggiato con attenzione, evitando sia i fiumi di lacrime sia una morale troppo facile. Il protagonista alla fine si chiede come possa essere stato così egocentrico da non capire. E non è una cosa affatto banale, per nessuno di noi.
Semmai, finita la visione ci sarebbe da riflettere sulla possibilità di costruire trame più strutturate. Ma non credo che mai lo farà, perché si snaturerebbe. Questo è Calcare, un autore vero con i suoi "antiromanzi" di borgata. Sei puntate che sono di pura digressione, per poi tornare al cuore della vicenda e inchiodarci lì, davanti alle nostre colpe e disattenzioni. Ma sempre con un piglio leggero, senza che questa sia una parola definitiva, ma solo una tregua... "Coglione!".
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