Italians do it better: part 5

Del consigliare un disco partendo dal live. Se questi brani mi avevano fatto un'ottima impressione su supporto fisso, risentiti l'altra sera in quel di Padova, a circa un metro e mezzo di distanza dal tonitruante basso di Luca Cavina (già qui, perdonerete il vecchio refuso) e dallo sparagnino drum kit di Paolo Morgagna (gentilmente prestatosi nel tour di questo album ed ora in pianta fissa con un duo totalmente diverso) mi hanno letteralmente annichilito. Un macello devastante, senza mezzi termini. Idee giuste e cospicue. Un'onda d'urto di rabbia incontenibile, straripante, intelligente. Pure un po' cerebrale, se volete. Ma tutt'altro che banale o pretenziosa. Ed ecco che il "solito" decennio italiano di ritardo sulle proposte estere viene metabolizzato e risputato fuori in un dinamismo che fa piazza pulita di stereotipi e luoghi comuni, consegnandoci finalmente un prodotto che non ha bisogno di annunci ai quattro cantoni per poter stare in piedi da solo.

Si fossero chiamati Zeus sarebbe stata l'ennesima megalomania di un paio di stronzi. Loro, invece, hanno optato per Zeus!. Che non è un'affermazione: è un'imposizione. Si intitola "Zeus!" anche il loro esordio, uscito in coproduzione per un pugno di etichette l'una meglio dell'altra. A voi il masochistico piacere di andarle a scovare, una ad una. Pezzi di Italia che soffre, lavora, bastona, si commuove, (altro che FUS). Compagne di strada trovate sul nostro cammino centinaia di volte, alcune ampiamente in grado di gestire la propria essenza in completa autonomia. Come queste nove canzoni (?), schegge di terrore rovesciate sull'ascoltatore - che flow - tra distorsioni, filtri, effetti, riff giganteschi, ospitate, follie ritmiche. Un inferno dadaistico con l'essenza dei Fantômas, il passo del math-core ed un gusto dell'assurdo fieramente tricolore. Non è la solita cazzata del famolo strano, ma un progetto di ragionata schizofrenia, di provocatoria sincerità.

Basso e batteria: si potrebbe dire che ci starebbe a pennello anche una chitarra. Mai niente di più lontano dalla realtà. L'unico episodio in cui si fa sentire una sei corde è, non a caso, in "Golden Metal Shower", il pezzo conclusivo, dove l'onnipresente Giulio Ragno Favero srotola metri e metri di filo metallico old style (ai limiti del thrash) per qualcosa che assomiglia molto a un felpato inseguimento cinematografico. L'eccellenza è altrove: tra le pieghe di "Giacomo Leopardi", ad esempio, una serie incessante di virulenti incastri ad orologeria con una sezione strumentale imprendibile, nella tanz debil di "Turbo Pascal" dai languidi rallentamenti psichedelici, nell'acid grind di "Suckertorte" o in "Koprofiev", costruita su perenni stop&go che occhieggiano allo sludge per ripartire con impressionante forza cinetica hardcore. Loro non si perdono in chiacchiere ("Steve Sylvester Saves"): perché voi dovreste farlo?

Che Zeus sia con voi.

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