Gli Zoetrope di Chicago, nati negli anni '70, sono una band veramente simpatica. Arduo scovare nel panorama thrash anni '80 una gang così schietta, sincera dal punto di vista musicale, ben disposta verso i suoi fans al punto da dichiarare nelle copertine dei suoi dischi il genere musicale suonato: hardcore street metal.

Non vogliono assolutamente creare problemi alla critica musicale, provocare cefalea nevralgica a scribacchini che cercano di etichettarli crossover o speed metal o heavy/thrash. Una macedonia di termini che fanno barcollare il povero kid che esce dal negozio di vinili usati, un pò come succede all'equilibrista di "...Altrimenti ci arrabbiamo" che finisce nelle braccia di Terence Hill. Gli Zoetrope suonano in realtà una sorta di thrash selvatico, prodotto malissimo da loro stessi, ma suonato con molta irruenza, con tratti veloci ed altri più hard rock. Sentendo il brontolio assordante che esce dai solchi sembra impossibile accettarli. "Amnesty", uscito originariamente nel 1985, è stato ristampato nel 2000 dalla Century Media con l'aggiunta dei due demotape pubblicati nel 1983 e 1985. Intendiamoci, i demo non sono assolutamente una chicca per appassionati, data la pessima qualità di registrazione, ma sulle prime song il sound appare più chiaro e rifinito rispetto al platter (!). L'opener "Indecent Obsessions" inizia con il vociare di gangster (presumo) mentre un riff sabbathiano conduce nel mondo delle ossessioni indecenti di un maniaco sessuale:

"Attraverso la tua finestra due grandi occhi osservano te e la tua donnaccia mentre scopate/Pensa, guardandoli, se si può avere paura della morte/Le sue fantasie non possono essere controllate, è un guardone, la sua strada è stata questa per tutta la vita...."

Il dirigibile speed fila via con passo scattante alla James Cagney, ma non frenetico, ed il sound è raggrinzato, pressurizzato, come se uscisse da una pistola ad aria compressa, heavy metal sparato dal tornio, dalla mola a smeriglio, rifinito con la carta vetrata. E qui sta il suo fascino: l'album sarebbe da buttare e bisognerebbe mettere sul piatto del giradischi "Bonded By Blood", ma invece la voce atipica e sguiata di Barry Stern (R.I.P) unitamente al suo drumming scarno ma efficace, ed alle chitarre affilate ma anche evocative, crea un pigiama sonoro da indossare in giro per la casa mentre si prepara il caffè alle 9 di sabato mattina. Il caso è complesso: thrash da relegare tra le band del cactus o corposo crossover metal da beatificare come enigma degli anni '80, colpevolemente dimenticato dai defender più incalliti? La verità sta nel mezzo.

L'album non è un monumento ma contiene tre canzoni capolavoro, ed altre sei dame di compagnia senili, da invitare al ballo quando siamo alla frutta secca. Il segreto del fascino consiste anche nell'interazione delle due asce Kevin Michael e Ken Black, che duettano affiatati con assoli dilanianti ma ben strutturati, ululanti ma perfettamente sincronizzati, mentre la chitarre ritmiche sembrano solamente motopompe utilizzate per innaffiare le vigne col verderame, un alibi mantenuto intatto dalla title track "Amnesty":

"Vogliamo amnistia/Da quello che si crede/Al di là e al di sopra della legge/Ma non è cosa è solo un primo esempio/Il modo con cui sono gestite le cose/Viaggia nella direzione sbagliata/Nessun bene per nessuno..."

E' la canzone più feroce e veloce dell'album (dall'incipit che puzza di Motorhead formato "Leaving Here"), una tremenda cavalcata a briglie sciolte, fino al catarsi nei due assoli sporchi e frastornanti, senz'altro un punto di riflessione per migliorarsi con l'album successivo, pensando ai Kreator di "Endless Pain" oppure agli Exciter di "Heavy Metal Maniac", altre release piene di fascino proprio per la loro spontaneità e registrazione grezza. La terza tegola heavy è la mitica, dura, riflessiva, spasmodica, ingegnosa, spontanea scheggia sonora che è "A Member In A Gang", un pò la loro "Dancing Days", dotata di un riff così memorizzabile (copiato o no non importa) che non esce più dalla testa, ma vi alloggia con perseveranza. E noi lo mastichiamo in momenti di riflessione, negli attimi in cui siamo ad un passo dal terno secco, o magari quando il semaforo viene subito verde in mezzo al traffico, oppure la vettura che ci precede svolta a destra senza che noi rallentiamo, sorpassiamo e non viene nessuno nel verso opposto, insomma il riff hard rock è un toccasana, saporito come il baccalà alla vicentina, sempre ben pestato prima della cottura, un pò come il sound queste canzoncine: basta non abusarne altrimenti rimane sullo stomaco. Il resto dell'album si snoda su pezzi fast che fanno da indegna corona a queste tre cannonate, forse con l'eccezione di "Another Change" che pare abbastanza ispirata nel riff stradaiolo e sanguigno.

Col successivo LP " A Life Of Crime" gli Zoetrope sforneranno il loro capolavoro, grazie anche all'ingresso del chitarrista Louie Svitek ed alla produzione dell'ottimo Randy Burns. Quest'album è solo un assaggio per addentrarsi nel mondo del crimine, nel pianeta del thrash virulento e rozzo che non smette di affascinare in alcuni pezzi, ma anche di irritare in altri meno ispirati. Una divertente nota di chiusura: il bassista Calvin Humphrey vienne soprannominato "Willis". Sembra veramente gemello del fratello maggiore del piccolo Arnold.

Carico i commenti...  con calma