Sono sempre più convinto della mia idea che il tempo tenda ad andare a ritroso. E molti (troppi?non saprei rispondere) dischi che stanno uscendo in questo periodo non ne fanno per niente parte. Ci si siede sulla linea del tempo e la si guarda snodarsi. Con tutto il materiale che si riesce a vedere si sceglie di recuperarlo e mischiarlo con un presente devoluto. C'è chi riesce e chi no. Per me Nika Roza Danilova con questo terzo suo lavoro, a modo suo, c'è riuscita. Discostando la navicella Zola Jesus dalle parti gelide del suo passato, senza abbandonarle del tutto, è riuscita a diventare più pop senza facilonerie di sorta (nonostante per sua stessa ammissione sia attratta in qualche modo da Lady Gaga, ma che la consideri artisticamente vuota come un'anfora) nè cazzate procommercioperglisciocchi. E' semplicemente riuscita a inserire gli ingranaggi dell'industrial minimale che tanto ama in una macchina limpida, sebbene insana.
Già solo la marcia industriale e sintetica di "Vessel" la dice lunga, sembra di sentire i NIN ultimo periodo, immersi in una soluzione lirica tendente all'apertura in cieli bianco sporcocenere, il pianoforte macchia le algide presenze di calore (in)umano, la voce si apre poi in un ritornello toccante e sforzato. Quando parte la seguente "Hikikomori" sgrano gli occhi e il pensiero che mi attravers la mente è "cazzo, sooo ninties!", ed è proprio questa l'aria che si respira in questo pezzo, l'intro con i synth incalzanti che accompagnano la voce che tesse una melodia da pezzo elettro reduce della decade che meglio ha rappresentato un genere (perlomeno per me), fino all'entrata di una sezione ritmica molto più vicina ad una vera batteria che alle solite drum machines della Nostra, la varietà è di casa in questo disco, gli archi sono i padroni della scena e l'outro è affidata proprio a loro. Non passa nemmeno un secondo che parte un beat insistente, elettrodelizia, tumtumtumtumtumtumtum, e la voce si fa spazio senza smuovere niente, duetta con sè stessa, coi cori che impreziosiscono il tutto, risposte armonizzate proprio alla pop maniera. In "Shivers" fanno capolino le strutture elettrospezzate dei Radiohead e l'apice è bello che raggiunto.
Mi spiace per Bjork (impalatemi pure, impiccatemi, insultatemi, datemi uno, quel che volete), ma nella sua semplicità questo disco è decisamente migliore del suo "Biophilia". E questo è sufficiente per leccarmi le orecchie.
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