Un po’ ce la siamo cercata. La costante ricerca della barriera musicale e dell’eventuale superamento di quest’ultima ci ha portato a tutto ciò. E’da un anno a questa parte che i magazine (e, non dimentichiamolo, le webzine) hanno riempito il nostro apparato uditivo con le più improbabili definizioni, adite a catalogare determinate categorie musicali senza una ben distinta direzione, più per volere “artistico”, che per mancanza di connotati comuni. Lo-fi Goth, Glo-fi, Hypnagogic Pop. Così si chiama il cult nel 2009.

E Zola Jesus probabilmente rappresenta una delle punte di diamante di questo movimento. Una sorta di divinità per feticisti del rumore. Una Beth Gibbons in crisi di astinenza da Valium, una Lydia Lunch in decomposizione. Della prima sembra riprendere la parte più malata, quella intravista in “Third” dei Portishead, cercando vocalità eteree su ritmi sincopati e macabre danze di morte. Della seconda, invece, pare cercarne la teatralità senza però riuscirne a cogliere l’essenza. E’ per questo motivo che brani come “Last Day” o “Flesh” non coinvolgono. Sarà probabilmente per questo che quando i brani si rinvigoriscono di Noise (e rumorismi annessi), come nel caso di “Said The White Rabbit” ci sembrerà solamente di esserci persi tra un blocco di divagazioni automasturbatorie e, perché no, autoconclusive. Non tutto, però, è male qui dentro.

Quando, infatti, la vocalist del Wisconsin si sofferma sulla forma canzone vera e propria i risultati sono decisamente migliori. Basti pensare a “Rester”, marcia funebre sorretta dai synth grigissimi che ritroviamo per il resto dell’album e, stavolta sì, una linea vocale riuscitissima, seppur con le sue derivazioni evidenti. Lo stesso discorso è valido per l’altra canzone vera e propria (in quanto avente una struttura ben riconoscibile, seppur, scusate la ripetizione, de-strutturata), “Sea Talk”. Qui i toni sono etereei ed evocativi, Siouxie che gioca a nascondino con i cadaveri di quello che fu il Death Rock. Più ombre che luci, veramente poche queste ultime, in questo EP della “folle” cantrice americana. Sarò tradizionalista, ma considero ancora il fare musica un’arte e la buona Zola ci è ancora distante.

In attesa che trovi la quadratura del cerchio.

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