Dopo alcuni secondi un muro di suono spesso e scuro si è già dileguato, il battito incessante di un martellante ritmo rituale si insinua in pochi secondi nel sistema nervoso, il suono è storpiato, pare giungere da sottoterra, suoni simili a note di flauto strozzate e strumenti a corda andini rimbombano, reiterati crescono in intensità come trasportati da un vento caldo e secco, una voce intona canti che paiono preghiere e invocazioni, "Shout The Storm" sembra appartenere realmente ad un' altra concezione di suono, antica quanto il mondo, nuda e calda come il ventre della terra.
Il suono unico degli Zoviet France appare disgregarsi davanti a noi ogni volta, è qualcosa di organico, vivente, distorce ogni percezione sul concetto suono, è continua stratificazione e sconvolgimento sensoriale, lercio, laido, minaccioso e intatto.
"Eostre" è l' ennesima e devastante dimostrazione dell' essere sempre e comunque avanti, di continuare a sperimentare le infinite possibilità del suono con i mezzi più minimi e poveri a disposizione, un brano come "Gustr" è semplicemente inspiegabile, percepirne ogni suono è impossibile, la storta e frastornante massa si muove verso prospettive sconosciute e sproporzionate, in "Regn" i battiti lenti ed emaciati di soffocanti tamburi tribali risuonano come immersi in spazi aperti e deserti illuminati da una fioca luce livida, non si è in grado di percepire quanto il ritmo sia vicino o lontano da noi, un' altra prospettiva offuscata.
Ogni brano del disco emana sentori e colori primitivisti, ancestrali e psichedelici, la serenità straniante e malinconica di "Pearroc" e "Bell", la battente ostinazione febbricitante di "Cad Goddeu" o l' assoluta e disarmante bellezza di "Angelus", flauti di legno, suoni arrancanti somiglianti a serpenti a sonagli, scampanellii ipnotici ed un ritmo tribale affannoso e dolorosamente spezzato, fratturato, pare un rituale di guarigione disperato e stranamente fascinoso.
I colori in "Cirice" si dissolvono, un mesto bianco e nero sembra l' unica gradazione cromatica abbinabile a questo intorpidente e cullante baratro, un pianoforte letargico e fluttuante è immerso in un non-suono spettrale, tutto resta immobile, pare di vedere materializzarsi davanti a se la scena onirica dell' Accattone di Pasolini, tutto è sospeso, corpi morti nudi tra le macerie, una processione funeraria avanza lentamente sotto un sole di rame, "Cirice" appartiene al mondo delle ombre, piazzata lì subito dopo l' apertura selvaggia e vitale di "Shout The Storm" fa ancora più impressione, ma le impressioni e le prospettive nel mondo sonoro della Francia Sovietica non esistono, sono solo barriere da abbattere.
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