Dopo lo "Shake" (scuotimento, brivido, ma anche incontro e mescolanza di lingue, linguaggi e codici diversissimi) ora il volo d'angelo e lo sguardo dall'alto di "Fly": difficile stabilire dove finisca l'"insostenibile leggerezza dell'essere" del gioco della citazione musicale/metaforica e cominci invece la più "sostenibile", concreta e solida "terra" del confronto con il contesto attuale, principale metro di valutazione del significato di un'opera, per (provare, come sempre) a definire il valore, lirico, poetico e prettamente musicale dell'album in questione: "Fly", appunto: troppo alto il rischio di farsi cogliere nel fuorigioco tattico di commenti "a caldo" che suonerebbero contrastanti e fuorviati, in parte dai (troppi) "rumori di fondo" che hanno accompagnato l'uscita di questo disco.

Si può però provare a delimitare una specie di "no fly zone", (per ora) priva di riferimenti ai vari commenti di contorno che ne disturbano la messa a fuoco e partire invece dai (non pochi) punti fermi.

Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero (soprannome che, secondo un aneddoto sembra gli sia stato attribuito per la sua dolcezza caratteriale) Sugar (per l'eventuale varco nel mercato anglosassone) è oggettivamente un compositore di musiche e testi, per talento e competenza in materia di livello mondiale; dopo i primissimi esordi (più "tradizionali") ha in modo progressivamente più assertivo posto al centro della sua opera il concetto e la pratica della "contaminazione", intesa come amalgama di linguaggi e culture diverse, che vanno dall'incontro quasi casuale (alla maniera delle "jam sessions" improvvisate ad esempio) fino al livello più alto, del sincretismo compiuto di linguaggi che riuscendo a "parlarsi" danno vita ad ibridi indefinibili e inusitati. In certi casi è stata colta l'essenza più intima del soul-blues ("Come il Sole All'Improvviso" è e rimane uno dei gioielli più preziosi di tutta la sua collezione), altre volte sembra più certa "forma" (organi hammond, sax, cori gospel, etc) a predominare su certa "sostanza" ("Senza Una Donna" è una splendida canzone all'italiana, ammantata da raffinate "vesti" ma non è un brano soul o blues originale), altre volte ancora, invece, il genio creativo si manifesta in pieno e si raggiunge realmente qualcosa che "ancora non c'è": qui una suggestiva visione onirica di paesaggi artici, ("Iruben Me", spettacolare incrocio di melodie pure e sublimi, versi straordinariamente poetici ed echi lontani di elettronica alla Art of Noise), qui una (dream)-pop-song ("Pure Love") che impreziosita dalla voce di Dolores O' Riordan riesce a suonare realmente meglio del miglior brit-pop o brit-rock; essendo forse tuttavia quella "Miserere", lirica e disperata preghiera profana, con un ampio arrangiamento orchestrale, chitarra slide e accenti blues, nonché la comparsa di uno dei tenori più grandi del mondo a rendere più di altre l'dea di tale poetica.

Da qui, credo si debba partire per delimitare contorni sonori e stilistici (il confine), e narrare le emozioni che provoca questo nuovo album (ciò che va oltre il confine). La prima impressione è quella di un lavoro (ancora una volta) perfettamente azzeccato, con grande abilità e senso dell'equilibrio, tra freschezza di nuove idee e varie reminescenze del passato recente e lontano.

Il presente è la prevalenza della lentezza sulla velocità, come accade nelle ballate: "Occhi", un po' una "Masterplan" con le coloriture malinconiche di "Blue", un songwriting raffinato e poetico ("poi ho visto gli occhi suoi, come grano in mano al vento"), un ritornello in falsetto "a gradini" che rimane appiccicato in mente; "Quanti anni ho", parte quasi in medley con la precedente (si avverte appena il secondo e mezzo di intervallo), con un organo hammond alla "Il Cielo In Una Stanza", ancora alla John Lennon/Liam Gallagher, un arrangiamento più maestoso e orchestrale, in perfetta continuità con la precedente per il tema trattato, quasi due pagine consecutive di un interiore diario emotivo, in cui la geografia sentimentale di di "Un Piccolo Aiuto" si fonde con la prospettiva a volo d'angelo sull'esistenza di "Miserere" ("Ho bisogno di te, di svegliarmi nel sole").

Laddove il passato recente riecheggia in "Cuba libre" (sembra un divertissement flamenco più vicino a certi esotismi degli Smoke City piuttosto che ai trascorsi nei Mano Negra di cui cita il suo ex-leader) e "Un kilo" più che per la possibile somiglianza con "Nietzsche (che dice)?" o "OLSM" fa effetto per la linea di basso e la sezione ritmica (stranamente monocromatica e più "rock" del resto dell'album), il passato lontano, forse è il territorio in cui sembra si possa ritrovare la migliore ispirazione: "L'amore è nell'aria", uno dei due gioielli dell'intero lavoro, delicatamente arpeggiata, sussurrata e sottilmente amara ma al tempo stesso crescente come un inno, e infine forse, (e si spera sia così) il passato più remoto illumina dalla lontananza dei ricordi poetici di "Dune Mosse" e "Madre Dolcissima" uno scorcio di futuro: "Let it Shine", splendida, incredibilmente moderna in quanto pur perfettamente suonata come i migliori episodi di sempre ha qualcosa in più: sembra, cioè che l'intero pezzo suoni come se fosse messo in loop e dia quindi un senso di "attualizzazione colta" al tributo, di altissimo lirismo, austero e quasi "a lutto" a quella New Orleans alla quale Zucchero deve molto, e dalla quale tutto cominciò.

Mescolando "l'alto e il basso", il buon gusto il cattivo gusto (che secondo Pablo Picasso "è il limite principale alla creatività") riesce a suonare al tempo stesso come la possibile chiusura di un ciclo, come un "lavoro in corso" e forse come l'apertura di una nuova (ulteriore) fase creativa. Il resto, è appunto l'emozione. Che, come si sa, "non ha voce". Né parole. Tantomeno quelle di chi scrive.

 

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