Ora basta, la decisione è presa: raggiungerò Saturno. Lascio la Terra senza alcun rimpianto.
Il razzo è pronto; rombo di motori, mente sgombra e partenza fulminea. Propulsione stoner che mi inchioda al sedile di bordo; la nave viaggia sicura, arrogante e fragorosa attraverso piogge di meteoriti vaganti e detriti di pianeti ormai estinti.
Il cuore è saldo, la gravità è zero, i computer sono allineati e gli ingranaggi sono ben oliati da grassi accordi elettrici di chitarre all’idrogeno e da una sezione ritmica precisa e lubrificata. Ormai gli anelli del pianeta sono in vista.
Atterraggio. Paesaggio desertico e sferzanti venti elettronici tolgono il respiro. Con stentorea voce cerco di registrare le mie impressioni sulla scatola nera. Tutto funziona perfettamente a bordo, la dilatazione del tempo ed il sollievo per la meta ormai raggiunta, dovrebbero sollevare il mio spirito.
Ma non è così.
Non ero solo sulla nave spaziale: i miei fantasmi sono saliti con me.
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