Quando le novità discografiche deludono le attese, possiamo tornare indietro nel tempo e rispolverare album poco conosciuti che, all’epoca, non avevano ottenuto la giusta visibilità. Tra questi ricordiamo The Lucid Effect dei 40 Winks, duo belga formato dai talentuosi producer Padmo e Weedy.
I 40 Winks nascono nei primi anni Duemila e decidono di condividere un cammino fatto di sperimentazione e ricerca musicale. The Lucid Effect è il loro terzo LP, uscito dopo alcune prove autoprodotte e un paio di lavori, More than Loops e Sound Puzzle, che avevano rivelato le capacità dei due beatmaker di Antwerp.
La terza fatica dei 40 Winks viene pubblicata dalla tedesca Project: Mooncircle e il cambio di etichetta sembra influenzare il risultato finale. Siamo infatti alle prese con un’opera matura, coraggiosa e più riuscita delle precedenti.
È impossibile non notare una crescita, una differenza qualitativa rispetto alle altre incisioni della band. Ma cosa rende The Lucid Effect diverso da una raccolta di strumentali hip-hop? La risposta è semplice: non siamo di fronte ai soliti suoni messi in loop, ma a un disco articolato e ricco di atmosfere languide, lontane dai cliché della Doppia H.
Per capirci qualcosa, può essere utile riportare l’incipit della biografia del gruppo, reperibile sul sito della Project: Mooncircle:
No hay banda! (“there is no band”, Mulholland Dr. 2001) pretty much sums up where 40 Winks aims to go with its instrumental hip hop: meticulously chop and paste samples together, to create an atmosphere of beats and vibes which steps beyond unimaginative loops.
La citazione ci permette di cogliere una delle principali caratteristiche di The Lucid Effect: un lavoro di taglio, cucito e sovrapposizione di strati sonori che ci illude magnificamente, quasi ci trovassimo davanti a un’orchestra o un ensemble jazz quando, invece, “no hay banda”. È tutto un trucco, una splendida illusione.
Veniamo al sodo. L’iniziale “Sleep Rock” ci proietta in un mood sognante, dove il rullo di tamburi lascia spazio a un groove di pianoforte, basso e batteria, punteggiato da arpe e orchestrazioni cinematografiche. Dopo una boccata di sigaretta o un sorso di whisky arriva un brano che cambia subito le carte in tavola, “Wise up”. I ritmi diventano sincopati, vicini a una delle incarnazioni del geniale Madlib, gli Yesterdays New Quintet.
Non mancano pezzi che soddisfano i b-boy (“Wizardry”, i cui flauti orientaleggianti ricordano DJ Krush; il singolo “Rap about That (Smoke and Mirrors)”, con quel chiacchiericcio da bar a fare da preludio a reversed sample e scratch al fulmicotone), tuttavia sono i momenti più particolari ad attirare la nostra attenzione, soprattutto nella seconda parte del disco. Abbiamo incursioni nella drum and bass (le variazioni ritmiche di “Input A”, la raffinata “Winks Jazz”), una traccia come “Hazy Notion” che pare uscita dalla soundtrack di una spy story e “Keep on”, brillante mix di battiti irregolari, strumenti a fiato e campioni vocali, molto simile alle composizioni dei The Cinematic Orchestra.
La conclusione di “Sleep Ritual”, piena di voci femminili e accenni di vibrafono, si interrompe all’improvviso. L’incantesimo è finito o qualcuno, semplicemente, ha spento il giradischi.
Una volta tornati in noi, proviamo a trarre le conclusioni. L’impressione è che, con The Lucid Effect, i 40 Winks abbiano iniziato un percorso di allontanamento dall’hip-hop, proseguito nel successivo It’s the Trip. E in effetti, nella seconda metà dell’album, manca qualche boom bap che avrebbe tenuto maggiormente le fila e reso più coesa la tracklist.
Al di là di questo appunto il disco resta notevole, forse il migliore della formazione centroeuropea. Il suo più grande pregio è quello di risultare gradito anche a chi non ha dimestichezza con il genere, proprio per l’assenza di rime e per la notevole varietà musicale.
Insomma, se siete alla ricerca di relax e un po’ di magia sedetevi sulla vostra poltrona preferita, chiudete gli occhi e fate partire The Lucid Effect. Non ve ne pentirete.
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