In tempi recenti, ero un uomo
di anni cinquantadue, un galantuomo oserei dire, uno di quelli non
troppo anziani e assolutamente distanti dalla malvagia ebbrezza degli
anni giovanili; ero un uomo affascinante, non c’è dubbio, non bello,
non lo sono mai stato, quella bellezza la lascio ai villani del
popolino: io esigo solo il delirio della bellezza.
Non ricordo con
precisione dove fossi quel giorno, certo, avevo cinquantadue anni,
forse non avevo l’aspetto di un uomo di quell’età, ma ne possedevo la
coscienza e il declino, pur non avendone forse l’esperienza. È
probabile che fossi ai lati di un’avenue parigina, in perfetta
solitudine in un bistrot a sorseggiare un rovente café in un già
rovente primo pomeriggio primaverile.
La bellezza mi si apriva
innanzi ai miei occhi così come il chiarore si estende in una placida
alba campagnola a ridosso di taciturne colline; nessuno dei passanti
riusciva a percepire quella bellezza se pur nel loro piccolo ne erano i
minimi artefici, attori ignari di una realtà capace di elargire
felicità se solo si fossero destati a mirarsi l’un l’altro, fermandosi
per pochi minuti dalla folle corsa della quotidiana escandescenza.
Ero
troppo elegante per vivere in un mondo contemporaneo: scarpe tirate a
lucido, pantaloni neri di sottile stoffa, camicia chiara aperta di due
bottoni, nessuna cravatta, una giacchetta da gentiluomo, un paio di
guanti, un cappello a cilindro basso e gli immancabili occhiali scuri
per difendere gli occhi dagli energici raggi solari di quella giornata
e per tutelare lo sguardo da quello altrui: troppo algido e
spietatamente egoista.
[...continua...]
Saluta con gioia!