Forse perché s'era stancato di truccarsi così pesantemente, forse perché non sopportava l'idea di trovarsi prigioniero della moda che egli stesso aveva lanciato, forse perché il portiere del palazzo in cui abitava si vestiva come Capitan Uncino ed il suo maggiordomo era il Generale Caster, o forse ancora perché i filoni ispirativi prima o poi si esauriscono, Adam Ant molla tutto quanto costruito negli scorsi due anni e "cambia musica".

Si disfa degli Ants (nient'altro che un'appendice, un esercito, una corte di Adam il reuccio), certamente una band oramai inutile, la cui scomparsa dalle scene nulla sottrae all'immagine di un personaggio che non fa più punk dal '79 e non ha più intenzione di suonare glam. Resta però la collaborazione/cowriting col chitarrista e amico Marco Pirroni, che da questo lavoro in poi si farà chiamare solamente Marco. Lo scenario e le chitarre sono pulp ante-litteram, prese da un poliziesco americano di serie C, le trombe a perdifiato sono fottute alle scene di inseguimento in macchina. I chiodi borchiati del '77 e i mantelli da cavaliere dell'81 sono stati sostituiti da impermeabili da private investigators in stile Dick Tracy.

Il cantato di Adam, come si sente sin dal primo brano, nonché titletrack, mantiene la sua simpatica gradevolezza generale; giochicchia ancora con gli "uhau uhau", retaggi di episodi musicali passati, ma senza esagerare. La doppia batteria, marchio di fabbrica dell'Antmusic, persiste e rende benissimo tra le trombe che "sono" la canzone."Something Girl" è una deliziosa marcetta fischiettante. Con "Place In The Country" si ritorna a questa specie di ska schizzato di rock n'roll. Batterie e ottoni, falsetti di Ant in ottima forma. Un pezzo irresistibile che però non può fare a meno di concedere un po' di spazio e di tempo a questa chitarra pulp. E fin qui non ci si è fermati un attimo.

La pausa arriva, ma non è una ballad, bensì uno strano funky-rock ben cadenzato grazie ad un ottimo lavoro di basso e chitarra. L'inizio è così ricco di fiati che ti sembra stia per salire sul ring Rocky Balboa per cantare una canzone al Madison Square Garden Arena. Il ritmo, pur non essendo convulso, si fa subito seguire col piede, quindi niente pause. Ant sfoga lo stress da successo in questa "Desperate But Not Serious". "Here Comes The Grump" è new wave pura affidata ad uno che non sa far altro che dissacrare in musica. Mi sarebbe piaciuta ascoltarla da uno di questi derivativissimi gruppetti d'oggi in chiave "veramente (!)" new wave, o perlomeno da un Adam Ant post-punk, non costretto, per esigenze di coerenza col resto del disco, a far viaggiare le chitarre ad un volume così basso. Il brano è poco più di una strofa, ripetuta all'inverosimile. "Sotto" al brano viaggia una chitarra soffusa le cui note emulano il sottofondo tastieristico di cento canzoni della prima metà degli anni 80, inglesi ma anche italiane (ci sono pezzi, ad esempio, di Alice che hanno questo giro di due-tre note di sottofondo ai ritornelli). L'Adam Ant erotomane che reclama in questo disco il suo diritto alla vita ed alla gioia mette sul lato A la ciliegina, cimentandosi, e trasformandola in un soul à la Aretha Franklin, nell'eros-rock dei Door "Hello I Love You". Non trascendentale ma gustosa.

Il lato B comincia come il primo: "Goody Two Shoes" è un incrocio di ska e rock n'roll molto simile ma anche più orecchiabile di "Friend Or Foe" o di "Place In The Country". Su un violino scordato, quindi, nasce "Crackpot History & The Right To Lie" in cui Ant canta il titolo-ritornello e rappa tutto il resto. Un riempitivo delizioso, pur essendo sempre nient'altro che un riempitivo, e dal quale si possono attingere altre nozioni di rilievo a riguardo di questo giovane stressato al massimo. Se la prende più o meno velatamente anche col punk, Adam, in questo brano: "tutti i ribelli che ho incontrato, m'han detto che eran destinati a morire, tuttavia li vedo ancor oggi e non sono morti ancora". Splendida "Made Of Money" che parte chitarristica post-punk/rock n'roll, che quindi non riesce a fare a meno di qualche parte "placcata in ottone", non troppo invasiva. Splendido il "do do do" di un Elvis con ancora i buchi da spilla da balia ben visibili alle narici, al posto della qualsivoglia forma d'assolo. "I matrimoni sono fatti in paradiso. Ed allora cosa the hell è successo al mio?", ripete chiedendosi Adam. Forte questo (allora) nuovo Adam Ant che ha voglia di parlare di se stesso, dei suoi cavoli e dei suoi stress, piuttosto che sventolare bandiere dei pirati, che pur godendosi la vita ancora ed ampiamente, almeno sulla carta si dice nostalgico di un'esistenza da signor nessuno. Interessanti i testi di quest'album anche considerando il fatto che oggi (ma da anni) il Nostro s'è ritirato a vita privata a causa anche di alcuni misteriori malori, e considerando le insistenti voci di gravi turbe psichiche.

Lo sfogo di quest'Adamo sull'orlo del baratro prosegue in "Cajun Twisters", un funky purtroppo pressoché inascoltabile, in cui Ant invoca privacy e si considera un cappuccetto rosso in preda al lupo mediatico. Il ritmo torna alto con "Try This For Sighs", sempre AdamElvis che stavolta si dà al soul. Se le strofe non sono granché il ritornello è molto orecchiabile. Anche qui, purtroppo, un evitabilissimo spazio per la chitarra di Marco, strumento troppo messo dietro nella line up, che vede batterie e trombe in testa, e chitarra dietro anche al basso. Il disco termina con "Man Called Marco", finalmente spazio "vero" concesso a Marco Pirroni ed al suo ferro. Interamente strumentale, salvo per una segreteria telefonica in cui Marco ci saluta, è una sorta di "Midnight In Moscow" in chiave pulp. Bellissima, degna di Tarantino e dei Cohen, con un finale addirittura degno di un western di serie B, grazie alla lenta fischiettata finale.

Inutile soffermarsi su quanto bands come Madness e Specials abbiano a che fare col punk e di quali e quanti generi/stili/artisti il 1977 londinese sia stato il brodo primordiale. Effettivamente, quindi, dire che questo strampalato e simpatico personaggio e lo ska non avessero nulla a che vedere l'uno con l'altro è inesatto, date le origini artistiche di Adam. Ma Ant è comunque riuscito ad andare oltre la mera riproduzione di uno stile che è nelle sue corde, tirando fuori dal cilindro in comune con Marco un innesto di ska-rock n'roll, di soul-rock e funky-rock. Indubbiamente gli episodi più riusciti sono i pezzi più sfrenati. Lì il ragazzaccio con la faccia da genero ideale è praticamente irresistibile, oltreché più credibile che negli altri esperimenti. Ciò non toglie che il livello medio dei brani è più che apprezzabile, e che vi sia solamente due soli riempitivi. Dopo questo lavoro, però, si svilupperà quella "identità" di Ant erotomane che lo trasformerà in gigolò del pop nel piatto e poco riuscito disco successivo "Strip", dopo il quale Adam si perderà parzialmente, e poi totalmente per strada. Ma nel 1982 bisognava accordargli un plauso per questo bel disco, e, prima ancora, per essere riuscito a rimettersi in discussione, come tutti i veri artisti devono fare.

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