Ha perso terreno, Adam Ant, e non è neppure riuscito a rientrare nella "infornata" del new romantic. Nel 1985, dopo il flop di "Strip" (non dei suoi due singles), Adam sceglie una maggiore coerenza artistica col suo passato e ritorna con un album di rock tradizionale e (soprattutto) glam. Già il titolo dovrebbe essere esplicito, per non parlare della copertina... Un uomo dalla chioma e dalla chitarra in spalla da rock n'roller, in posa da mitico con una bella mazzetta dio dollaroni che cerca di ficcare dentro alla patta, ricompensa presumibilmente delle sue "esibizioni" di gigolò/rocker (adesso anche stripper?) che sciorina anche frasi "ad effetto" (per minorate mentali) in lingua d'oca.
L'iniziale title-track è l'esempio perfetto di questa virata in chiave glam rock. Forse solo il volume delle chitarre è inferiore al resto dell'album. "Miss Thing" è un eccezionale esempio di glam da manuale con le sue strofe cantate in coro e quei "wa-la-ba-loomba". Su un ritmo più lieve (ma di poco), quasi venato di new wave, parte questa strepitosa "Razor Keen" dall'ottimo ritornello. Un assolo (o due?) di chitarra dislessica, in cui Marco pare un po' Brian May. Il ritmo ed il sound diventa più tradizionale in "Rip Down", un'antsong non esente certo dal glam (tutta l'"antmusic" è figlia di papà punk e mamma glam). Ottimi gli "ohiohiohioh yeah!" e bella la fischiettata finale di una specie di boogie cadenzato, retaggi di un gusto passato di Adam che, quando serve, può ritornare utile (Adam ha imparato a non abusare di quei suoi cliché soltanto col tempo). "Scorpio Rising" è graziosissima col suo testo non-sense, credo incentrato sul nuovo stile che Adam ha scelto per presentarsi in pubblico. Il brano è ben strutturato su un arpeggio di chitarra "che sente la suspence" ed è cadenzato come una marcia. Non molto significativo, come episodio, ma gioiellino/chicca (e pertanto riempitivo).
Inizia con un conto alla rovescia "incantatosi" al numero 5, "Apollo 9", pezzo irresistibile nel quale Adam canta un po' "esaurito". C'è un po' di tutto: oltre al sumenzionato countdown, strofe simpaticissime un po' da sigla di cartone animato giapponese, interludi al ritornello fatti di pieni/vuoti/pieni di ritmica e controcanto in coro, rappata finale tra rullate di doppia batteria... In generale, oltre ad essere il secondo singolo del disco (oltre alla title-track), è pressoché il brano più riuscito dal punto di vista della forma-canzone (ahimè non della produzione). "Hell's Eight Acres" è una punk song serrata nel ritmo, con un cantato in tinte rockabilly nelle strofe, per quindi ritornare all'amato punk in ritornelli serrati di batteria che accelera, i cui versi sono ripetuti sguaiatamente in coro tra le martellate. Fin qui non si può certo contestare ad Adam la pochezza di originalità, nonostante che i lidi del glam e del punk siano a lui molto noti... "Mohair Lockeroom Pinup Boys" è un altro boogie, nel perfetto T-Rex style, purtroppo eccessivamente sovrainciso. "No Zap" riprende il ritmo della precedente e lo esaspera. Il risultato è senza dubbio ballabile, ma non eguaglia neppure da lontano gli splendidi ska rock n'roll di "Friend Or Foe", suo miglior disco senza la compagnia degli Ants. La finale "P.O.E." è un'antsong del periodo "piratesco" trasformata in qualcosa di "western-glam". Al posto delle bettole dei Docks di Londra, infatti, ci si è trasferiti in un saloon di una città di cinquanta anime in cui per la prima (e l'ultima) volta si tiene un rodeo per disperati la cui vita merita di finire sotto gli zoccoli di un cavallo pazzo. Ottimo l'organetto che sale sul finale. Il brano è pressoché degno della celebre "Jolly Roger" del disco "Kings Of The Wild Frontier", ed il meglio prodotto dell'intero album.
La casa discografica commetterà gravi errori di printing, smettendo poi troppo in fretta di puntare su questo lavoro, così importante e così sentito da Ant e Pirroni. Al Live Aid, Adam ed i suoi suoneranno solamente "Vive Le Rock". Le band del new romantic invece, senza passato, senza storia, la stragrande maggioranza anche senza talento, canteranno ben più tardi e beneficieranno di larghi spazi per le loro insipide canzonette. E' la fine. Adam volerà in California, per puntare il tutto per tutto su Hollywood, per assecondare le sue ambizioni di ascesa alla fama mondiale. Nel 1987 tornerà, uno yuppie in doppiopetto e guanti, lontano una vita da tutto ciò che fu e da tutto ciò che era british, con un sound più influenzato dal mainstream americano, ovvero il funky di Jackson e soprattutto di Prince. Un Adam Ant che non detta più le mode, ma che le copia, come uno qualsiasi.
Ritornando al disco, questo è un buon prodotto di glam rock. Ventidue anni dopo l'uscita, potremmo dire "it's only glam rock but I like it!". Ma la produzione del celebre Tony Visconti (nome sul quale si era puntato apposta per il rilancio in grande stile) si è rivelata una scelta fallimentare, ed è così deficitaria da rendere "Vive Le Rock" il disco di Ant che suona peggio in assoluto. Solo per questo non do le quattro stellette. Se amate il glam, comunque, questo lavoro vi è pienamente consigliato.
Carico i commenti... con calma