Così non funziona, o almeno non del tutto. Adam McKay prende le vicende di un Armageddon qualsiasi e le cala nella società americana di oggi, con le sue distorsioni, le sue ossessioni, le sue contraddizioni. Un mondo fagocitato dai social, dalle opinioni e dai capricci di un pubblico estremamente volubile, dove tutto è immagine, tutto è campagna elettorale, tutto è business. La gente è drogata di social, dipendente da smartphone che conoscono i tuoi sentimenti quasi prima di te, e gli aspetti decisivi del dibattito pubblico - anche le questioni di Stato - sono tutti filtrati da una comunicazione mediatica sempre più morbosa, istantanea, infantile.
E così, il professor Randall Mindy (DiCaprio) viene cooptato nel mondo della tv non tanto perché ha scoperto che un asteroide si schianterà sulla terra, ma semplicemente perché belloccio e più misurato (più addomesticabile) della collega, la dottoranda Kate Dibiasky (Lawrence) che ha individuato per prima quel corpo celeste malevolo. La trumpiana presidente degli Usa (Meryl Streep) decide per una missione non perché abbia compreso il pericolo reale (il futuro è sbiadito in questo mondo così ossessionato dal “qui e ora”): fa partire gli shuttle soltanto perché va male nei sondaggi e intende così rialzarsi. Tutto è immagine. Ma nemmeno la cinica presidente poteva prevedere l'intervento del guru dei social, il lunare Peter Isherwell (Mark Rylance) che - forte dei suoi sponsor alla campagna elettorale del partito - propone di lanciare dei droni per frantumare il bestione e sfruttarne poi i preziosi materiali.
Ne nasceranno due fazioni, tra faide mediatiche, campagne politiche a suon di concerti ed eventi, disordini sociali, disperazione e smarrimento del concetto di verità.
Il film è simpatico, pieno di spunti strettamente connessi con la società attuale e con molte dinamiche diventate abnormi in questa età della pandemia. Ma, c'è un ma.
La profezia non funziona pienamente, quando è così aderente alla realtà. L'oracolo non può dirsi tale, perché descrive qualcosa che ormai è sotto gli occhi di tutti. Per cui, lo sforzo di McKay non risulta illuminante quanto altri perché oggi, francamente, non c'è nulla di più facile che ironizzare sui negazionisti, sulla tossicità dei social, sulla nevrosi collettiva da tv, sul gossip sfrenato che si issa a questione di Stato. La distanza prospettica, che può essere proiettata a un domani distopico (alla Black Mirror) o a rivalutare in negativo un passato nebuloso (come nei precedenti film di McKay), è necessaria a creare quella differenza conoscitiva che rende interessante, a volte illuminante, un'opera di questo tipo.
Per di più, la volontà di fare un grande affresco sociale che comprenda tutte le aberrazioni di oggi non gioca a favore dell'approfondimento, con il risultato di trovarci davanti a tanti spunti ma senza mai percepire un portato di significato e ragionamento ulteriore. Allo stesso modo, i personaggi si risolvono in burattini o poco più, con quella patina plastificata tipica dei prodotti da piattaforma streaming. Non hanno una cifra autentica nel loro essere, sono stereotipi, semplici maschere.
Ripenso ad esempio al personaggio di Christian Bale ne La grande scommessa. Tra mutui subprime e credit default swap suonava alla batteria pezzi dei Mastodon e dei Metallica. Bastava poco per dare più tridimensionalità a figure semplicemente “strumentali” al discorso. Ma qui la gestione dei temi e delle tempistiche non è ottimale come in passato e per certi versi regna una prevedibilità che non era lecito aspettarsi. Non mancano episodi divertenti (fantastico Jonah Hill), ma sono scintille estemporanee in una struttura più povera di energia rispetto ai film precedenti.
Quella di Don't Look Up è in fondo un'indignazione rassicurante, che non buca davvero lo schermo per farci sentire in parte colpevoli e complici di tutto quanto. Sembra che le degenerazioni siano sempre colpa di qualcun altro, in particolare di certi oscuri figuri che tramano per i loro scopi: i politici, i colossi dell'informatica, i pubblicitari che incasellano le persone a seconda delle reazioni social. Le potenze straniere si disinnescano da sole, il popolo protesta ma in modo inoffensivo, gli scienziati abdicano alla loro missione. Uno scenario deprimente che non contempla minimamente la responsabilità individuale, forse perché ormai non ci crede più.
Una grassa risata (amara) sulle follie del nostro mondo, una risata colma di rancore, ma incapace di andare oltre lo sfottò, la pedissequa rappresentazione delle nostre pochezze e degenerazioni che, purtroppo, ci sono già ben chiare ed evidenti. E questo non basta per disinnescarle e risolverle.
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