E insomma sì, il sogno è morto, ma loro ci riprovano. Senza innocenza, è vero, ma è un autocitazionismo che trasuda nostalgia. Senza tastiere e new wave, perché, dai, mica siamo quei fighetti dei TSOL (avercene).

L'unico problema di questo 1987 è che deve fare i conti con quel 1981 scritto di getto, direttamente in bella. Ipnotico, mesmerizzante buco nero con cui tutti devono fare i conti. E con cui tutti perdono.

"Brats In Battalions", il titolo è bellissimo. Il triumvirato Agnew-Soto-Cadena (cui si aggiungono Sandy Hansen e Alfie, fratello di Rikk), cinico e beffardo come non mai, vomita bestemmie al trotto, regalandoci l'ennesimo inno beach punk. Sorta di spensierato ed irriverente de profundis: la scena hardcore, trafitta mortalmente dal crossover e da "Reign In Blood", è al suo canto del cigno. Ma a loro non frega nulla, anzi. Si agitano convulsi tra pancroc e powerpop, scopiazzano diligentemente gli ultimi Descendents  (sentitevi "I Love You", o i singulti di Steve Soto in "Skate Babylon" ) e sfornano un dischetto inutile, manieristico e superfluo. In una parola, stupendo.

La formula del quintetto, stavolta, registra un certo indurimento a discapito della velocità che, comunque, non ha mai stretto un profondo sodalizio con gli Adolescents. Benché più pesanti e marziali (leggi: l'ottima "Welcome To Reality"), i nostri vendono ancora cara la pelle: la slamdance a due velocità di "The Liar" è una torrida macchina da pogo, "Losing Battle" è una splendida "No Way" a deflagrazione controllata e "Peasant Song" è il polifonico bignamino dei perfetti kids di Fullerton (con oozin-aahs ante litteram). E va bene così, dai. Certo, gli Adolescents veri non ci sono più. Questi sono più tecnici, ma anche autoreferenziali e stucchevoli. Giocano palla a terra, sì, ma in linea orizzontale. Non vedono la porta.

Ed il paragone diventa a tratti impietoso quando si passa all'ascolto di "I Got a Right". Gli Stooges, filtrati tra le represse velleità ormonali di Cadena, danno vita ad un punk viscerale, rotto, vivo. Sangue dal naso, vomito, esoscheletri di periferie bruciate dal sole. Finalmente si respira. I pezzi originali? Al confronto, soffocanti cappe di retorica.

Ma poi ti ascolti Rikk Agnew. Senti la sua chitarra volare. Strizza l'occhio ad "Amoeba", al bel tempo  che fu. E allora pian piano ti accorgi che "Marching with the Reich" ne è un commosso restyling. Che, con un pizzico di Christian Death, si è fatto "Kids of the Black Hole" vol. 2: l'epica e teatrale "Things Start Moving".

Enfatica e superflua, ma piena di nostalgia. Andate, siete assolti.

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