Benestante, sazio e ben pasciuto al punto tale da non rendersi conto che la propria condizione comporta anche costi elevati che però ricadono su tutti coloro che vengono sfruttati per permettere il benessere dei cosiddetti happy few. E' ciò che accade in molti casi, ma resta sempre vero che alcuni riescono a rendersi conto di questa situazione iniqua. Che poi riescano a cambiare il sistema sopra descritto è certamente un altro discorso.

È la mia una considerazione di carattere generale che mi sovviene tutte le volte in cui rivedo "Traitement de choc" (uscito in Italia con l'orrido titolo "L'uomo che uccideva a sangue freddo" e che guastava la legittima curiosità dello spettatore di comprendere le dinamiche implicite della trama). Un vecchio film di Alain Jessua (autore purtroppo un po' dimenticato dalle nostre parti) girato nel 1972 e che riflette certo una mentalità di quell'epoca, ma veicola un messaggio pur sempre valido.

La protagonista è Helene Masson (ben resa da un'intensa Annie Girardot), direttrice di un'affermata società di pret-a-porter che, oltre allo stress lavorativo, è reduce dalla fine di una relazione sentimentale. Per ovviare a questo momento incasinato della sua vita decide di recarsi in un istituto di talassoterapia gestito dal dottor Devilers (interpretato da Alain Delon all'apice del suo fascino tenebroso) sull'isola Belle Ile en Mer, nella regione francese della Bretagna. La cura comporta un regime alimentare vegetariano, unitamente alla balneoterapia e alla pratica del sano naturismo. E il tutto accompagnato da robuste iniezioni di un medicamento liquido ricostituente che ha tutta l'aria di essere una specie di elisir di lunga vita.

Tutto quindi potrebbe procedere al meglio se non fosse che, fra i facoltosi pensionanti pazienti, Helene ritrova un caro amico afflitto dal problema di sostenere spese elevate per la terapia prima descritta. Indebitato quindi fino al collo, una bella mattina viene rinvenuto cadavere ai piedi di un tratto roccioso della costa dell'isola. Un suicidio, così pare, ma Helene è sempre più sospettosa per l'andazzo in questa clinica deluxe, considerato che, fra i camerieri ed inservienti di nazionalità portoghese operanti nella struttura, si registrano sovente casi di improvviso svenimento durante il servizio. E questi stessi sventurati, nel giro di poco tempo, vengono rimandati a casa (così parrebbe) per essere sostituiti da altri connazionali. Si aggiunga che il comportamento seduttivo del dottor Devilers verso Helene non è disgiunto da toni ambigui e melliflui, come se intendesse occultare qualcosa di poco pulito e possibilmente sviare eventuali accertamenti della verità. E d'altronde qualche legittimo sospetto sulla natura di quel liquido iniettato nelle vene delle persone in cura può nascere: è proprio estratto dalle cellule di pecore ivi allevate, come vuol far credere Devilers? Non ci sarà per caso, invece, un nesso con quei lavoratori portoghesi inspiegabilmente sofferenti per il clima dell'isola e misteriosamente scomparsi?

Inutile aggiungere altro ad un intreccio sempre più angosciante che si attiene ai meccanismi classici del buon thriller per portare ad esiti venati di note horror (e senza guastare il piacere della scoperta di chi vorrà rivedere questa pellicola). Ciò che mi preme porre in risalto è la rappresentazione, da parte di Jessua, di un ambiente di degenti benestanti che fruiscono di tutti i vantaggi di un determinato sistema e si sentono privilegiati di farne parte, senza alzare lo sguardo per coglierne il rovescio della medaglia, costituito dallo sfruttamento di tanti che, come già aveva descritto tempo prima Karl Marx, non hanno alternative valide a prestare lavoro in condizioni di svantaggio. La vicenda narrata è in fondo la metafora dei rapporti di forza fra quella parte di mondo sviluppato e opulento (il cosiddetto Occidente) e tutta quell'area caratterizzata da nazioni arretrate e sottosviluppate. Ancor più significativo è notare che il film venne girato nel 1972, quando l'Occidente evoluto non poteva neppure immaginare che l'anno successivo, in occasione della guerra del Kippur fra Israele e nazioni arabe, sarebbe insorta la prima crisi petrolifera mettendo a dura prova proprio quel nostro modello di sviluppo ritenuto intramontabile. In fondo quei ricchi degenti dell'istituto di talassoterapia sono anche loro tanto miopi da non vedere cosa si nasconde nel meccanismo che regge l'intero ambaradan. Solo Helene Masson dimostra una certa perspicacia, per quanto riuscire poi a dimostrare il malaffare non sarà fattibile.

Certo il messaggio veicolato dall'opera non è poi così inedito e noterei anche che la suspense, per quanto ben calibrata, non è tale da rendere difficile presagire, da parte dello spettatore attento e sagace, il marcio intrinseco a tutto il sistema vigente in tale clinica. Tutti i personaggi sono coinvolti in questa logica proprio vampiresca e ne sono complici poiché a loro sta bene che così vada. Per non parlare poi dei lavoratori impiegati, che accettano di sottostare a tali condizioni (si deve pur guadagnare qualcosa per vivere..) .Un bell'esempio di alienazione.

Conta poi segnalare l'ottima interpretazione di tutti gli attori ed attrici impegnati nella pellicola. Fra l'altro, ed è un autentico segno di quei tempi più disinibiti rispetto agli attuali, per esigenze di copione furono girate varie scene di nudo integrale (e ciò sicuramente contribuì al successo commerciale dell'opera). Ebbene, senza particolar problema per gli altri, né Annie Girardot (in pieno splendore fisico) né Alain Delon si posero il problema di recitare in veste adamitica. Non ricorsero pertanto a controfigure e quindi, con evidente interesse da parte delle spettatrici, Alain Delon ad un certo punto si spoglia completamente per poi correre a gettarsi nelle onde del mare in un bagno inebriante. E dal momento che, correndo, è ben visibile il batacchio sballonzolante, va ricordato alle suddette spettatrici che non si tratta di controfigura: è tutto Alain Delon in versione nature.

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