"Rilassatevi, stavo guardando lui perché è uguale a Jimi Hendrix cazzo".
Non so a voi, a me capita spesso, ti viene l'ispirazione di fare una cosa ma, se non la fai subito, finisce nel dimenticatoio o comunque viene eliminata dalle priorità del momento. Non ci pensi neanche più finché non arriva un qualcosa, un input che te la riporta alla ribalta.
Mi è successo così anche con questo libro. Lo presi appena uscito ma era finito buttato lì alla cazzo ed era stato scavalcato, senza un motivo logico, da altri presi dopo. Non avevo mai letto libri sul ragazzo di Seattle ed era già il secondo che mi veniva consigliato da un caro amico Hendrixologo/Hendrixiano doc (facciamo il primo va, il secondo sa di democristiano o renziano).
Era una mattina davanti al bar, per il primo dei tanti caffè della giornata, la vista di questo tizio in mezzo ai suoi amici è stata la molla; stesso sorriso imbronciato, stessi capelli... no i vestiti erano decisamente diversi, e dopo aver rischiato di litigare alle 7 di mattina con questi giovanotti, nel pomeriggio ho iniziato la lettura del libro dimenticato.
"Io, il migliore del mondo?! Sciocchezze" J.H.
Mai capito le "classifiche" sui musicisti. Solo uno più bravo potrebbe (e sempre comunque con un'opinione personale) permettersi di giudicare... ma se loro sono i più bravi?... vabbè per me storia vecchia, inutile. Comunque chissenefrega chi sia il più bravo. Una cosa penso invece sia oggettiva: Jimi Hendrix è l'unica chitarra riconoscibile dopo pochi accordi. Persino da me. Hendrix ha stravolto la chitarra, ne ha ridefinito il suono, ne ha allargato i confini.
Tutto da autodidatta, nessuno studio, ascoltava il disco e lo riproponeva all'istante sulla chitarra. Un talento fuori dal normale, unico, assoluto.
Ciò che mi ha sempre impressionato di Lui è il suo rapporto con lo strumento; un rapporto fisico di amore e bramosia. Anche come si muovevano sul palco quei due erano una cosa mai vista prima (e neanche dopo). Ho letto parecchie volte che per Jimi la chitarra era come prolungamento del braccio; non sono d'accordo, scommetterei che usava in modo spontaneo meglio la chitarra del suo arto. Sembrava sempre giocarci con la sua chitarra, anche come la teneva a tracolla, come la imbracciava, come teneva il pollice destro sopra il manico... tutto diverso dagli altri, unico, con una naturalezza disarmante. Jimi dominava la chitarra, dominava il palco e il suo carisma era incredibile. "E' come Se tutte le anime si congiungessero"; così definiva un suo concerto ben riuscito. La sua musica può piacere o no (oddio, nel secondo caso vi vedo messi male) ma lui è di quelli fuori categoria... come Ali', Federer, Maradona per capirci.
Alan Douglas è un produttore cinematografico amico di Hendrix che si è occupato anche di parecchi suoi dischi postumi, mentre Peter Neal ha girato durante il biennio 67/68 l'unico biopic ("Experience") dedicato al musicista e proiettato mentre era ancora in vita. I due hanno messo insieme tutto gli scritti documentati di Jimi.
"Né io né Alan avevamo infatti intenzione di mettergli in bocca parole non sue, perciò abbiamo iniziato a sperimentare dialoghi costruiti a partire da cose che Jimi aveva effettivamente detto. Pur utilizzando le sole fonti certificate, abbiamo così messo insieme un dossier gigantesco. C'era materiale in sovrabbondanza perché durante i quattro anni trascorsi sotto i riflettori Jimi ha rilasciato interviste di continuo. Inoltre era uno scrittore incallito: si serviva della carta da lettere degli alberghi e di fogli sciolti, pacchetti di sigarette, tovaglioli e tutto ciò che gli capitava sottomano.... nell'esaminare il materiale disponibile si ricava la netta impressione che Jimi abbia lasciato un racconto di se vasto e notevole, per quanto frammentario e talvolta ellittico. Insomma io e Alan abbiamo avvertito l'esigenza di dare a Jimi un'occasione per illustrare la sua personale visione della vita e della musica in mezzo a una pletora di leggende e mezze verità. Zero è il risultato della riorganizzazione di questo materiale secondo una logica narrativa".
La lettura scorre veloce e piacevole: lettere e cartoline (soprattutto al papà), interviste, appunti, poesie, alcuni suoi testi e soprattutto pagine di un diario personale che ci raccontano i suoi pensieri, le sue emozioni.
L'adolescenza, la fuga da casa e dalla scuola, la vita da vagabondo, la leva militare per evitare la prigione; quindi Lei, la chitarra, che diventa la sua inseparabile compagna, fonte di ogni tipo di emozione che vivrà. Le prime esperienze come musicista al soldo - si fa per dire! - di vari artisti (Isley Brothers e soprattutto Little Richard che lo tratta a straccio), l'incontro con Chandler e la partenza per Londra. Nella vecchia Inghilterra si trova benissimo, l'ascesa con la sua band è folgorante, poi il ritorno in America, voglioso di far vedere cosa sa fare la dove, fino a pochi mesi prima, era un signor nessuno. Il racconto delle registrazioni degli album, delle esibizioni live, dei Festival soprattutto a cui ha partecipato. L'ammirazione per Dylan e i Beatles. L'amore per la Svezia "Ho sempre avuto un debole per la Svezia, mi piace esibirmi qui perché ho la sensazione che il pubblico sia in grado di intuire qua l'è' lo scopo della nostra musica. Al mondo esistono diversi modi per manifestare il proprio apprezzamento ma in questo gli svedesi sono insuperabili... e poi pace e silenzio... e le ragazze sono più carine che altrove".
Blues, libertà, improvvisare, sperimentare. Queste quattro parole/concetti si ripetono senza soluzione di continuità. Il Blues è la sua musica, la base di tutto. Le altre tre parole rappresentano ciò che voleva più di tutto; fare cose sempre nuove, esplorare, non avere vincoli, la massima libertà espressiva. Non sopportava le classificazioni in generi musicali, non le concepiva, le considerava una assurdità.
Tutto ciò però non avviene e anzi, in pochissimo tempo, Jimi passa dall'esaltazione di Londra, del primo album e di Monterey, alla depressione e all' insicurezza, ai dolori causati dalle richieste opprimenti delle case discografiche e di tutto l'ambiente del business musicale. È una star, ma non ha un carattere forte. Soffre il giudizio dei critici (che odia ma che subisce), c'è sempre il peso psicologico di ciò che pensa il padre, il dovergli continuamente dimostrare ciò che è diventato. I pensieri diventano confusi, spesso scrive una cosa e poco dopo quasi il contrario. È una persona che tutti vogliono dalla loro parte e che, invece, non da l'impressione di avere idee chiare e soprattutto di riuscire a farle valere. Completamente travolto dagli eventi.
Ho provato tanta tristezza per lui, si è goduto pochissimo. Il più Grande è stato ingabbiato dal sistema e non ha avuto la forza per ribellarsi. Parecchi suoi pensieri mi hanno fatto vera tenerezza. Doveva e poteva avere tutto ed invece mente e corpo non c'è l'hanno fatta.
Ho letto commenti entusiastici su questo libro; non mi trovano d'accordo. Il libro è interessante proprio perché racconta la sua vita (o meglio una parte della sua vita) direttamente da sue testimonianze. Un paio di cose però "abbassano" il mio giudizio. Gli scritti, quantomeno il "diario personale", non posso credere non sia stati "aggiustati" e/o tagliati nella trascrizione; mi sembra impossibile che un ragazzo poco più che ventenne col mondo in mano, almeno apparentemente, parli di party, droghe, donne quasi come ne parlerebbe un frate, oppure spesso non ne parli proprio, ma dai! (eppure non ho letto di nessuno che abbia notato ciò). E' troppo dispersivo nei temi e nei periodi per essere considerato una autobiografia come ci dicono gli autori. Ritengo che sia un libro di emozioni interessanti ma, vaghe e confuse, a cui è necessario abbinare la lettura di un libro su Jimi più dettagliato nella sua storia cronologica. Dal mix dei due potrebbe uscire il massimo possibile sul ragazzo di Seattle. Per questo recupererò "Jimi Hendrix: una fischia rosso porpora" che mi avevano consigliato precedentemente.
Buona lettura, comunque, il ragazzo merita sempre alla grande.
Questa è storia del Rock nella sua essenza più nobile, mica pippe.
Au revoir, les Nobles
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