Alex Skolnick torna ad accarezzare le corde della sua gibson nel 2007, anno di uscita di questo bellissimo lavoro in studio intitolato "Last day in paradise", e lo fà con la disinvoltura dei grandi chitarristi blues; passare dal thrash metal al jazz/funk raffinato e stimolante contenuto in questo disco non è cosa da tutti, eppure la grande volontà e determinazione di Skolnick, jazzista "tardone", che con una carriera nel gruppo dei "Testament" già avviata molla tutto per dedicarsi allo studio approfondito e viscerale dei maestri del jazz, è stata premiata portando i suoi frutti. Oggi ascoltarlo con il suo trio significa inbattersi in un musicista preparato tecnicamente, fantasioso ed originale (le rivisitazioni di classici del metal in chiave jazz la dicono lunga), entusiasmante in assolo, talvolta dotato di capacità compositive al di sopra della media, come dimostra lo stesso "Last day...".
Era già infatti più o meno nota, la propensione del musicistà ad usare il proprio bagaglio musicale, come fonte di idee con le quali sbizzarrirsi e tirare fuori sessioni jazz; i classici del metal vengono da Skolnick usati come veri e propri standards, stravolti e completamente riarrangiati diventano il pretesto del chitarrista per suonare musica jazz dove sono l'armonia e l'improvvisazione a contare, sciolti dalle regole "compresse" e standardizzate per le quali erano nati acquistano vera libertà espressiva, gli accordi e le armonie corrotti da questa inclinazione trovano nuove improbabili soluzioni e gli assoli "freddi" tipici del metal si tingono di blues e vivacità. Questa ultima fatica del musicista, oltre ai tre brani estrapolati dal mondo del metallo, contiene una buona quantità di composizioni originali ricchi di melodie ed idee interessanti, tra i quali è doveroso citare il riuscitissimo "Mercury retrogade", suggestivo brano d'apertura contraddistinto da aggraziati fraseggi di chitarra che sfiorano l'incalzante groove di Matt Zebroski alla batteria, pochi virtuisismi ma tantissima classe traspaiono dagli arpeggi e le armonie prodotte dallo strumento a sei corde, il brano fila via richiamando il mondo magico di Path Metheny che con la sua fusion raffinata è riuscito a strappare più di un' emozione ai suoi attoniti ascoltatori. Skolnick ha fatto scuola di tanta maestria e lo dimostra in più di un' occasione, dalla bellissima versione di "Revelation mother earth" di Ozzy Osburne trasformata in una semi bossanova nella quale è presente uno dei migliori soli di chitarra del musicistà, alla splendida ballad "Shades of grey".
Skolnick rispolvera anche un brano degli stessi Testament ("Practica Lo que predicas"), rivisitato quì in una versione latin-funk, sopra le righe e divertente, il disco alterna infatti momenti decisamente lenti a momenti più vivaci e ritmati, si fa sentire ed è ogni presente la sezione ritmica composta dal già citato Zebroski, il suo groove micidiale ed il suo feeling impressionante con gli altri due musicisti, diventano un vero e proprio esempio e saggio di musica suonata in trio. Tanta esperienza, capacità, classe e qualche calo di stile che si fa perdonare per la qualità del resto della registrazione.
Dimenticate i riff furiosi del thrash ed i suoni duri ed aggressivi del metal, Skolnick da alla sua chitarra un'anima ed una personalità, il suo tocco si riconosce, la sua fantasia è inarrestabile ed il suo fraseggio abbandona ogni stereotipo. Otima prova anche questa volta e speriamo di risentirlo presto in questa versione tanto inusuale, quanto succulenta. Buon ascolto.
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