L’avevo mezzo predetto qualche tempo fa, proprio in questo sito, commentando come del ritorno delle sonorità disco anni ’80 e ’90 nella musica pop avrebbero potuto benissimo beneficiare i Goldfrapp, che per classe ed eleganza non avrebbero avuto niente da invidiare alle nuove leve del momento, cui potrebbero tuttora dare più di una lezione di stile. Alla fine ci ho preso per metà: messa da parte per un attimo la storica collaborazione con Will Gregory (con cui, comunque, i rapporti sono ancora ottimi, eh), Alison Goldfrapp si presenta, dopo una carriera quasi venticinquennale, con il suo primo progetto solista, “The Love Invention”. Per il sottoscritto, le aspettative erano un mix tra curiosità e un po’ di diffidenza: Alison infatti, oltre che una talentuosa vocalist, è autrice o co-autrice di tutti i pezzi cantati nella sua carriera, ma a plasmare la discografia dei Goldfrapp era anche stato Gregory, indispensabile nelle vesti di produttore e compositore nel dare al gruppo un suono tanto variegato quanto riconoscibile; ne consegue, dunque, che la voglia di vedere cosa la cantante avrebbe tirato fuori da sola era sincera, ma era anche permeata da un po’ di timore nel vederla mettersi al servizio di pezzi non all’altezza.
Ecco, da questo punto di vista non ci avevo preso per nulla, perché se “The Love Invention” non fuga ogni dubbio, ci va comunque incredibilmente vicino: il debutto solista di Alison Goldfrapp è, a conti fatti, un bel tripudio di sintetizzatori e drum machines per undici tracce che viaggiano tra dance anni ’80 e ’90, house, synth-pop e Dream-pop. La tripletta iniziale, per esempio, è una partenza col botto, con la title-track che paga tributo alla Kylie Minogue di “Fever” e “NeverStop” che è un pezzo elettro-pop da manuale, mentre in fondo alla scaletta troviamo un vera chicca come “Gatto Gelato”, che è, nel nome e nei suoni, un omaggio sentito e divertito alla migliore Italo disco. Il meglio, però, arriva quando Alison mette la sua voce al servizio di quelle atmosfere a metà tra il malinconico e l’onirico che hanno fatto la fortuna del duo musicale a cui presta il cognome: tra gli episodi migliori dell'album figurano infatti la ballad sintetica “In Electric Blue” e l’incedere solenne ed etereo di “The Beat Divine”, in cui Goldfrapp veste come nessun’altra i panni di sacerdotessa dell'elettro-pop. Niente male anche i pezzi più (volutamente) banalotti, ma accattivanti, come la notturna “Hotel (Suite 23)” e “Fever (This Is the Real Thing)”, due esempi perfetti di come si scrivono dei ritornelli martellanti, con il secondo perfetto per far esplodere la pista da ballo. Ci sono, qua e là, anche dei tentativi di ammiccare a sonorità più moderne e pure qui la Goldfrapp ne esce benissimo: “Subterfuge” prende un beat dai tratti trap/R&B e lo innesta in un atmosfera notturna e nebulosa in cui sono i cori e le tastiere a farla da padrone, mentre “SLoFLo” è una bella lezione di stile per tutte quelle cantanti che, nel voler fare le alternative a tutti i costi, si perdono in melodie sconclusionate e produzioni cervellotiche, dimenticandosi nel frattempo di scrivere una bella canzone.
Poi certo, guardando al quadro complessivo, si può effettivamente affermare che questo album rischi molto poco, visto che a conti fatti non aggiunge nulla né alla scena musicale di riferimento, né si spinge troppo oltre quanto già fatto da Alison con Gregory; ciò non toglie, però, che gli arrangiamenti orchestrati, oltre che dalla stessa Alison, da Richard X (già al timone del criticato “Head First”) siano particolareggiati e stratificati e che, nel complesso, il disco scorra liscio come l’olio senza sbagliare mai un colpo nell’inanellare una serie di pezzi pop praticamente perfetti in una scaletta che non conosce riempitivi. E se questo non è sintomo di un buon disco pop, francamente non so cosa lo sia. La classe, d’altronde, non è acqua e Alison Goldfrapp ne ha sempre avuta da vendere e anche questo fa la differenza nell’elevare ulteriormente la qualità complessiva del disco. Sicuramente una delle uscite pop migliori dell’anno e un buon inizio solista per la sua autrice, ma si astengano dall’ascolto tutti coloro che non hanno mai perdonato ai Goldfrapp la svolta elettronica di “Black Cherry” e “Supernature”, dato che qui troveranno ben poco di adatto al loro palato.
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