Waw, che bello questo pezzo che sa così tanto di anni sessanta, chi è, non credo di averlo mai ascoltato. Questo capita a chi, come me, si ritrova per caso ad ascoltare su una piattaforma virtuale Vivo di Andrea Laszlo De Simone. O meglio, succede che un giovanotto come te, conosciuto su un sito che ho sempre apprezzato, ti linki il video di un brano e tu, curioso soprattutto perché sai che quel ragazzo ha gusti simili ai tuoi, non esiti due volte ad aprirlo.
All'improvviso, tutto quello che hai respirato con le atmosfere di una musica un po' datata ma dal valore universale riprende vita, quel modo di fare musica che hai sempre amato si palesa nuovamente tra le note di un giovane artista emergente, di cui ignoravi persino l'esistenza e inizi a pensare che ci sia ancora speranza. Speranza di capire e valorizzare certi suoni, certe liriche, farle tue e dare il via a un nuovo movimento artistico.

Vivo è un pezzo che ricorda il soave Amore Perduto che cantava Faber nei lontani anni sessanta, dove quella leggerezza e gioia di esistere furono valori prima che tendenze. Un meraviglioso affresco del duemilaventuno che omaggia però, senza copiare, una decade che ancora oggi affascina ventenni innamorati di musica e libertà.

La voce di Andrea, volutamente nella più totale mescolanza con la musica, ci fa riscoprire il piacere del prestare attenzione alle parole, magari tornando indietro e mettendo play una volta in più, un po' come accadeva in Anima Latina di Battisti, punto di partenza per tante giovani promesse del pop odierno.

In un presente dove è di moda skippare qualsiasi cosa, smettere di prestare attenzione al dettaglio, al singolo momento e dove escono canzoni a tempo determinato, il pezzo in questione restituisce quella dimensione di universalità, parlando a tutti e cercando di rimanere impresso nella memoria collettiva.

Le parole finiscono qua, non vi resta che ascoltare.

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