Dopo il promettente esordio di "Theorius Campus" in coppia con De Gregori, e "L'orso bruno" di qualche mese precedente, Antonello Venditti, pur continuandosi ad ispirare all'Elton John di "Madman across the water", decide di virare verso suoni più scarni ed acustici, abbandonando le soluzioni orchestrali. Il risultato è un Lp di 8 brani dove Antonello da un lato affina la sua poetica intimista, dall'altro prosegue sulla strada dell'impegno e delle tematiche forti di quegli anni.

"Mio padre ha un buco in gola" è dedicata al padre Vincenzo Italo, futuro vice-prefetto di Roma, anche se nel testo si cita anche la "professoressa madre" e la nonna, per poi concludere il quadro con il racconto dell'episodio da cui il titolo del brano, ovvero la ferita che il padre subì durante la seconda guerra mondiale. Nel brano si compie una simbolica uccisione dei genitori, visti come rappresentanti di un'Italia tradizionalista ormai anacronistica.

Dopo "Mariù", canzone scandita da una specie di orologio e con un testo anche un po' piccante, arriva "Brucia Roma", canzone tra le prime dedicate dal cantautore alla sua città e anche tra le prime ispirate all'Antica Roma, come lo sarà "Attila e la stella" nel 1975. Si invocano Menenio Agrippa e Tiberio Gracco rispetto a Nerone, forse anche per parlare dei personaggi politici contemporanei, ed inoltre il verso "questo er professore nun me l'ha mai detto" sembra essere anche un'invettiva contro il nozionismo scolastico che non permette di comprendere a fondo la Storia passata, e di conseguenza quella presente. La canzone è in dialetto romanesco, e qui Venditti mette il luce tutta la potenza evocativa di questo. Chiude il lato A la title-track, "Le cose della vita", capolavoro del Venditti intimista e tra le poche canzoni di questo periodo che resisterà anche nei concerti dei decenni successivi. Un brano di nemmeno tre minuti in cui il verso "Le cose della vita fanno piangere i poeti, ma se non le fermi subito diventano segreti" è bellissimo e potrebbe col senno di poi anche essere interpretato malignamente a proposito della conversione di Venditti a un sentimentalismo ruffiano, che troverà appunto in "Segreti" una sua manifestazione.

Giriamo il vinile, e troviamo un brano già presente nel precedente "L'orso bruno", ovvero "E li ponti so' soli", commovente storia di una barbona, anche questa cantata in romanesco ma questa volta suonata non con il piano ma con l'eminent, un organo di grande valore strumentale all'epoca ed oggi quasi introvabile. Pochi accordi e si realizza la magia di una delle più riuscite canzoni dell'album. Dopo "L'ingresso della fabbrica" si ritorna a parlare di fabbriche anche ne "Il treno delle sette", dove il verso "libertà è una cosa grande libertà è una cosa sola" sembra anticipare di quasi 40 anni il verso "la libertà ritornerà" da "E allora canta!". Dal disagio dei lavoratori dei '70 a quello dei ricercatori universitari degli anni duemiladieci. Il piano di questo piano è da brivido, e come detto è ispirato all'Elton John degli inizi (si ascolti "Il mare di Jan" del disco precedente e si noti il richiamo evidente a "Levon"). La libertà ritorna anche in "Stupida signora", sostenuta da un giro di accordi di piano drammatico e riuscito, ma questa volta la liberta è "per chi la vuole". Il testo risulta criptico e "il giornale del venerdì" potrebbe essere interpretato come la supremazia dell'impegno politico sui sentimenti, esattamente il contrario di ciò che avverrà a partire dal 1984 con "Cuore". Chiude questo bellissimo disco "Le tue mani su di me", anche questa una perla del Venditti intimista, con accordi che sarebbero stati utilizzati anche per "Qui" undici anni dopo, e un testo veramente riuscito. Un Venditti senza sbavature, con brani non lunghi ma che in un numero misurato di versi riesce a esprimere tutta la sua poeticità. Fino a raggiungere il minimalismo di "Quando verrà Natale" dell'omonimo disco dell'anno successivo. 1973-1975: il miglior Venditti di sempre.

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