Ci sono volti che sembrano fatti apposta per essere osservati. Non avendo fiducia alcuna in confidenze o confessioni per il carico di vanità che inevitabilmente portano con sé e considerando con diffidenza persino le azioni per il velo d'ambiguità di cui troppo spesso sono ammantate, credo che una persona si possa comprendere meglio - o perlomeno essere meno fuorviati - osservandone il viso; a maggior ragione quando questi è particolarmente caratterizzante. Ritorniamo al punto di partenza: ci sono dei volti che innescano quasi naturalmente speculazioni deduttive e torsioni immaginifiche.
Era tutto molto rituale.
Mentre il piatto veniva scaldato ognuno di noi lavorava di incisivi - superiori e inferiori - estraendo la spugnetta e sosituendola con il classico filtro usato per le canne costruito in modo che otturasse perfettamente il buco che veniva a crearsi. Non ho mai capito esattamente lo scopo di tutto ciò, ma secondo l'amico con più (millantata?) esperienza di queste cose così facendo si scongiurava il pericolo di avere uno strumento troppo schermante; del resto un rito si celebra, non si discute.
La sostanza veniva poi adagiata sul piatto, divisa in strisce e tritata molto più finemente rispetto a quanto si sarebbe dovuto fare per una pippata; questo perché grumi troppo consistenti non faticassero troppo ad aderire allo strumento che - previamente bagnato di saliva in una porzione della sua lunghezza - raccoglieva e tratteneva la polvere in questione e che da semplice sigaretta si elevava a pucciotto.
Non che abbia mai avuto una così grande familiarità con la coca, ma devo dire che ho sempre preferito fumarla che tirarla: il suo gusto amarognolo si assapora molto più nitidamente, compiutamente, una boccata dopo l'altra e, per di più, i suoi effetti si diffondono per gradi nei centri nervosi garantendo un più saldo controllo del timone della coscienza che non declina mai nella bulimia da pippata.
Si fumava cocaina secondo la voglia e il talento di ognuno, ma il punto è che dopo un po' il nostro viso, all'acme della serata, assumeva le sembianze di quello di Mastro Aphex in "...I Care Because You Do": sorriso di pietra, sguardo vitreo e occhiaie avvolgenti.
Sì, ho una teoria: nel corso della carriera Aphex Twin ha variato spesso droghe di riferimento e questo disco in particolare l'ha composto in un periodo scandito da pucciotti. Non mi credete? State pensando che un album non si giudica dalla copertina? Ok, allora balliamo di architettura.
Pensiamo al primo volume dei "Selected Works", a quella fusione tra dinamismo dance e soffici trascendenze, frenetici beats e digressioni acide, loops incalzanti e tuffi nell'empireo. Botte techno che picchiano in testa come grasse pippate, ma diluite spesso e volentieri in solipsismi ambient che la testa la fanno girare come cartoni sciolti sotto la lingua.
E il secondo volume? Beh, qui il Nostro vira decisamente sul fumo. Un monocromo di due ore e mezza che veleggia senza scomporsi con l'hashish in poppa, la bussola su Brian Eno e lo scafo portato continuamente alla deriva da rotte intrise di pura texture.
E poi "...I Care Because You Do", ovvero Aphex Twin che fuma cocaina.
Inserito nel modus vivendi della IDM, il disco segue un percorso e descrive una parabola del tutto assenti nei lavori precedenti dove - pur con episodi notevoli - i pezzi sembravano semplicemente accatastarsi l'uno sopra l'altro. Un crescendo, un apice e un diminuendo: ciò che si perde in potenza o in spontaneità si guadagna nella precisione balistica dei sensi smerigliati (e non occlusi) dalle droghe.
Mastro Aphex in copertina è l'istantanea del trittico centrale, di uomo che sta fumando un pucciotto dopo l'altro e che respinge l'assalto all'arma bianca di stridii acuminati, malìe techno e gorghi drum'n'bass con scivolamenti obliqui al sintetizzatore. Come dicevo prima, fumare non è tirare; il Grillo Parlante è sempre all'erta e - a meno che non si scelga di torcergli il collo - si può sempre fare appello a contrappesi, contraltari e contrappunti che bilanciano la situazione.
Mi si dirà che questo accadeva anche prima, che proprio Aphex Twin - assieme agli Autechre di "Incunabula" - è stato l'iniziatore dell'ambient-techno.
Verissimo. Il punto però è che qui non vi giunge con un album che va dritto per dritto in quella direzione, ma con una salita che si avventura tra divertissement new age, house melodica e tensioni noir al violoncello ed una discesa dove i beats rallentano in sincopi al limite del reggae finendo per sciogliersi nella sinfonia sintetica del pezzo finale.
E per di più c'è quel titolo: "mi importa perché lo fai" preceduto dai tre puntini di sospensione che rinviano ad un cogitare ponderoso; Aphex Twin lungi dall'abbandonare l'uso di droghe non vuole però sbracare nei bagordi del passato. Per questo sceglie di fumare cocaina, per mantenere il controllo sulla cinetica del sound.
Forse è questa la tanto decantata maturità: prediligere il nitore di un "perché sì!" rispetto alla deliziosa strafottenza e all'informe nebulosità di un "perché no?".
Sì, però che palle!
Carico i commenti... con calma