In un mondo dove aumentano sempre più i dubbi, posso dire di avere almeno una certezza: io odio Piero Scaruffi. Insopportabile e pretenzioso, Scaruffi incarna alla perfezione la figura del critico musicale, con quel mix di nerdaggine e finta tuttologia che spesso la contraddistingue. Ad aggiungere elementi di interesse (si fa per dire) ci pensa il suo sito Internet, un’accozzaglia di approssimazioni e Times New Roman paragonabile a un fossile di Diplodocus (avete dato uno sguardo alla grafica? Probabilmente un Triceratops avrebbe fatto di meglio).
A metà tra il delirio di onnipotenza e il desiderio di catalogare lo scibile umano, lo sforzo di Piero contiene dei momenti di insperata illuminazione: basta visitare la pagina dedicata agli Aqua, gruppo scandinavo noto tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio. Influenzato dalla beltà della cantante Lene Grawford Nystrøm o reduce da una serata in discoteca trascorsa a tampinare pettorute milf, il saggista di Trivero partorisce uno dei capitoli più geniali della sua evitabile attività, consistente in un sette dato ad Aquarium, esordio della band nordeuropea. La notizia ha dell’incredibile, poiché Scaruffi riserva questo voto alle composizioni di Johann Sebastian Bach o, in alternativa, ad album misconosciuti di cantautori angloiraniani.
Spinto dal prodigio e dalla incredibile convergenza di eventi ho deciso di rispolverare Aquarium, primo CD acquistato dal sottoscritto nel lontano 1997 (ebbene sì, chi lo avrebbe mai detto). Ad attirare l’attenzione ci pensa subito la foto di copertina, che ritrae il quartetto in una divertente posa subacquea, condita da filtri alla Barbara D’Urso e da un invidiabile gusto kitsch. Dopo aver sbirciato la tracklist scopriamo che il disco contiene undici tracce per circa quaranta minuti di musica, un buon biglietto da visita per un album pop senza grandi pretese. Riguardo al sound c’è poco da dire: non siamo di fronte a suite minimaliste o a interminabili jam session di stampo psichedelico, ma a un onesto prodotto dance-pop, ottimamente confezionato dal tastierista Søren Rasted e dal chitarrista Claus Norreen. Le parti vocali sono affidate alla già citata Lene e a René Dif, inquietante omaccione dal timbro baritonale (questa definizione la devo a Piero), animale da palco spesso al centro delle attenzioni per una presunta love-story con la bella norvegese (gli altri componenti sono danesi).
Partendo da queste premesse inizia il viaggio in compagnia degli Aqua, un percorso che si rivela più vario e persino più emozionante del previsto. Certo, è impossibile non menzionare i singoli sfornati in rapida successione dalla band: “My Oh My”, “Doctor Jones”, “Roses Are Red”, “Lollipop (Candyman)” e soprattutto “Barbie Girl”, vero e proprio tormentone che, oltre a causare agli Aqua beghe legali per l’utilizzo del nome della famosa bambola, cambia per sempre la carriera dei nostri amici, trasformandoli in superstar internazionali. La ricetta dei brani è sempre la stessa, ma incredibilmente vincente: testi semplici e ammiccanti, sonorità eurodance (qualcuno direbbe “bubblegum”) e tanta voglia di divertirsi. Senza dimenticare i videoclip, dove René e compagni interpretano storie ispirate al mondo dei cartoon, ricche di ironia e momenti clowneschi (di nuovo grazie, Piero).
Tuttavia Aquarium è anche altro. Ancora oggi, ad esempio, sono sorpreso dalle atmosfere latine di “Heat of the Night” e da alcuni pezzi “seri”, che spezzano la tensione in maniera ammirevole. Tralasciando “Good Morning Sunshine” (forse la traccia più debole, con un inserto rap non proprio riuscito), possiamo ricordare “Be a Man”, un lento che esalta le doti vocali di Lene (alle altre abbiamo accennato in precedenza), e soprattutto la pregevole “Turn Back Time”, dove il pop degli Aqua diviene sofisticato (la canzone sarà poi inserita nella colonna sonora di Sliding Doors: mica pizza e fichi). Aggiungiamoci due brani come “Happy Boys & Girls” e “Calling You”, ballabili e smaccatamente radiofonici, e il gioco è fatto.
A questo punto è evidente che il famoso sette ad Aquarium non è il risultato di un’intossicazione da peyote, inavvertitamente sperimentato da Scaruffi durante una visita a un suo amico hippie (ricordiamo che il critico, per nostra fortuna, risiede a San Francisco), quanto il risultato di una lucida analisi, una delle poche che mi sia capitato di leggere sul suo sgangherato ed enciclopedico sito.
Orsù, dunque: largo ai “poliritmi esuberanti”, alle “eccentricità distribuite con parsimonia”, ai “contrappunti melodici dalle timbriche cristalline”, qualunque cosa essi siano. Abbandoniamo per un attimo i nostri album seminali e tuffiamoci nell’idiozia, nella stupidaggine mai spiacevole, nello “humour più latino che nordico”. Piero ha acceso lo stereo, comincia la festa.
In the heat of the night
We are having a fiesta
We dance until siesta
When the sun comes alive
Oh
Voto del DeRecensore: 4/4,5
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